domenica 4 gennaio 2009

Il razzismo quotidiano

Da Beppe Grillo a Ponticelli, dall'omicidio Reggiani all'"emergenza razzismo", dai pogrom a Bussolengo: il ruolo dei media nella "caccia al rom".

La “bomba a tempo” (ottobre ’07)


Un Paese non può vivere al di sopra dei propri mezzi. Un Paese non può scaricare sui suoi cittadini i problemi causati da decine di migliaia di rom della Romania che arrivano in Italia. L'obiezione di Valium [Prodi] è sempre la stessa: la Romania è in Europa. Ma cosa vuol dire Europa? Migrazioni selvagge di persone senza lavoro da un Paese all'altro? Senza la conoscenza della lingua, senza possibilità di accoglienza? Ricevo ogni giorno centinaia di lettere sui rom.
E' un vulcano, una bomba a tempo. Va disinnescata. Si poteva fare una moratoria per la Romania, è stata applicata in altri Paesi europei. Si poteva fare un serio controllo degli ingressi. Ma non è stato fatto nulla.
Un governo che non garantisce la sicurezza dei suoi cittadini a cosa serve, cosa governa?
Chi paga per questa insicurezza sono i più deboli, gli anziani, chi vive nelle periferie, nelle case popolari.
Una volta i confini della Patria erano sacri, i politici li hanno sconsacrati.
[Beppe Grillo, I confini sconsacrati, 5 ottobre 2007]

Il blog più cliccato d’Italia, che influenzerà pesantemente la campagna elettorale, accende la miccia. Alcuni fan protestano alla corte del comico: “così scrivi la tua fine”, ma sono tanti quelli che condividono le esternazioni di Grillo. “Il Corriere della Sera” del 7 ottobre riporta alcune reazioni dei politici, a partire da quella di un popolarissimo Antonio Di Pietro, che raccoglierà un enorme numero di preferenze in aprile: “che i rom rappresentino una bomba sociale è un dato di fatto vero e reale, perché l'immigrazione rom in Italia è dieci volte superiore rispetto a quella di altri Paesi europei”. Lo stesso 7 ottobre “Repubblica” titola citando la sparata di Piergianni Prosperino, assessore della giunta milanese: “Cacciamo gli zingari dall’Italia”. È solo l’inizio. Il “dibattito” che si scatena a causa del post di Beppe Grillo non è che la spia di un vero e proprio linciaggio mediatico ai danni di rom (e sinti) in Italia. Nello stesso articolo “Il Corriere” riporta altre dichiarazioni di politici:

Da Rifondazione comunista non sanno più quanti strali lanciare contro Grillo. Comincia Gennaro Migliore, capogruppo alla Camera, e non esita: «Nelle parole di Grillo sui rom è esplicita una deriva xenofoba. Sarà un caso che dopo le sue parole hanno bruciato un campo rom a Casoria?».
Franco Giordano, segretario di Rifondazione, cerca di salvare Grillo sui temi della precarietà e della difesa all' ambiente. Ma quando pensa a quelle parole sui rom non si trattiene: «Bisogna contrastare la sua logica neo sicuritaria che si accompagna a spinte neo regressive di destra». E da destra esulta il forzista Osvaldo Napoli: «Grillo, che sempre più si conferma un fascista di sinistra, ha soffiato sui sentimenti razzisti diffusi fra gli italiani...».

I “sentimenti razzisti” degli italiani sono preesistenti?
Due mesi prima quattro bimbi rom muiono, calcificati come i cadaveri di Pompei, nel “rogo di Livorno”, rivendicato dal gruppo razzista Gape. Le autorità, e con loro la stampa, si scagliano sui genitori dei bambini. E, nonostante le indagini del gruppo Everyone rivelino “prove, testimonianze e indizi” che inchiodano l’incursione razzista, i magistrati, le istituzioni e i media sono sordi: "un organo di stampa coraggioso, comunque, li ha pubblicati, mentre gli altri giornali e le televisioni, anche quelli di sinistra, cercano di far passare sotto silenzio le nostre rivelazioni e di mettere in cattiva luce i genitori”, dichiarano i rappresentanti di Everyone. I genitori rom patteggiano una condanna per “abbandono di minore”. Un anno dopo il rogo Pardo Fornaciari, sul “Corriere di Livorno”, nell’articolo Ma quel rogo resta ancora un’ombra, ricorderà “la banda di assassini in libertà” e i tanti aspetti poco chiari della vicenda giudiziaria.
Il germe della furia xenofoba sta senza dubbio cominciando a trovare il suo spazio vitale nel disagio economico e sociale, ma la responsabilità dei media non è da sottovalutare. A fine settembre, altre due incursioni devastano i campi rom intorno a Roma con molotov, coltelli ed esplosivi. La stampa italiana e le televisioni stanno già soffiando sul fuoco, e vengono puntualmente rimproverati da un articolo, che esce il giorno dopo esce su “Newsweek”, con il titolo “New Union, Old Prejudices” (Nuova Unione, vecchi pregiudizi):

In recent weeks Italy has declared itself under siege by the people they call zingari […] Headlines from the leading newspaper, Corriere della Sera, scream about "The Invasion of Nomads," Rome's daily Il Messegero begs "Help!" and La Repubblica complains on its front page, "There Are Too Many! Rom Emergency." (Rom is the term used by Italians for the Roma to avoid confusion with the name of their capital.) Walter Veltroni, the mayor of Rome, told a recent press conference that Rom have been found guilty of 75 percent of all petty crimes in the city so far this year. So grave is the situation, he says, that he has asked the ministry of the interior to adopt special regulations that would classify nomadic gypsies as illegal immigrants.
(Nelle ultime settimane l'Italia si è dichiarata sotto assedio da parte della gente che chiamano zingari […] Il quotidiano nazionale leader, Corriere della Sera, titola: L’invasione dei nomadi, [29 settembre 07] il quotidiano romano Il Messaggero implora Aiuto! La Repubblica lamenta sulla sua prima pagina, Sono in troppi, è emergenza rom [26 settembre] (Rom è il termine usato dagli italiani al fine di evitare confusioni con il nome della loro capitale). Walter Veltroni, il sindaco di Roma, ha detto in una recente conferenza stampa, che i rumeni sono stati riconosciuti colpevoli di 75% di tutti i crimini commessi in città quest'anno. La situazione è così grave, dice, che egli ha chiesto al Ministero degli Interni di adottare regolamenti speciali che classifichino gli zingari nomadi come clandestini).
[Barbie Nadeau, “New Union, Old Prejudices”, Newsweek, 8 ottobre 2007]

I pogrom contro i campi “nomadi” sembrano una via d’uscita “ufficiosa” dall’impasse. Sembra che tutti i problemi dell’Italia escano da quei “non-luoghi” impossibili da definire: “quasi dei campi profughi, ma non propriamente, quasi dei campi di transito, ma non propriamente, quasi dei campi di concentramento, ma non propriamente, quasi dei campi per gente in attesa d’espulsione, ma non propriamente” (Leonardo Piasere). La “politica dell’allarme continuo” (“Repubblica”, 28 maggio 2007) ha trovato questa volta un capro espiatorio stabile. Manca solo il detonatore.

L’omicidio Reggiani (ottobre ‘07 – marzo ‘08)

30 ottobre 2007, pressi della stazione ferroviaria di Torre di Quinto, Roma.
Un uomo rapina, violenta e uccide una donna. L’uomo è un ventiquattrenne di nazionalità rumena, Nicolae Romulus Mailat. La donna è Giovanna Reggiani, moglie di un ammiraglio dell’intelligence italiana. Il terribile avvenimento viene usato “per montare una campagna politica xenofoba contro i rumeni” (Ornella De Zordo, capogruppo di “Unaltracittà/unaltromondo” nel Consiglio comunale di Firenze). Fini reclama “repulisti”, si invocano le espulsioni di massa: è “l’emergenza sicurezza”. “L’ira di Veltroni” (nel titolo con cui apre “Repubblica” il 1 novembre), sindaco di Roma e segretario del nascente Partito Democratico, si scatena contro l’“autentico orrore scoperchiatosi nella sua città”:

«Prima dell' ingresso della Romania nella Ue Roma era la città più sicura del mondo. Bisogna ricominciare con i rimpatri. Altrimenti non ce la si fa nè a Roma nè a Torino nè a Milano». Allarme, pesantissimo. «E' necessario assumere iniziative straordinarie e d' urgenza sul piano legislativo in materia di sicurezza».

I rumeni reagiscono: Mailat è di nazionalità rumena, ma è un rom. Veltroni manda allora in onda scene di feroci sgomberi: i suoi “Patti per la sicurezza” hanno una priorità assoluta, i “nomadi”. I giornali soffiano sul fuoco, i telegiornali scoppiano di reportage sul pericolo della microcriminalità, straniera e “nomade”. L’isteria collettiva e il linciaggio mediatico si alimentano a vicenda. Nel solo mese di novembre 2007, solo sul quotidiano “Repubblica” quasi 250 articoli contengono la parola “rom”. Tra tutte queste “notizie”, neanche un accenno all’assassinio di una donna Rom a Milano, riportata invece da Roberto Malini di Everyone:

L'omicidio si è verificato nel pieno della campagna razziale contro gli zingari scatenata da politici, autorità di forza publica e stampa, dopo il caso (anch'esso tutto da chiarire) Giovanna Reggiani. La dinamica è quella tipica dell'aggressione di razzisti: l'incendio, l'aggressione. Il clima di questi giorni faceva temere episodi estremamente violenti e il Gruppo EveryOne ha più volte lanciato l'allarme anche attraverso comunicati stampa, mai diffusi, purtroppo, dai giornali né dalle televisioni, che sono ormai sussiegose nei confronti del potere fino ai limiti della complicità. Cosa dobbiamo aspettarci dalle indagini? Esclusa la possibilità di trasformare il delitto in un incidente, visto che alcuni particolari sono ormai di dominio pubblico, c'è a temere che si tenterà di attribuire le colpe del gesto violento al compagno della donna Rom o a un altro romeno, ipotizzando il raptus di gelosia o un regolamento di conti. E necessario vigilare sulle indagini e su come la stampa presenterà l'evento, che già oggi, incredibilmente, induceva il giornalista del Corriere della Sera a chiedersi (nonostante le evidenze): "Incidente, vendetta o xenofobia?". Si noti la prima ipotesi: Incidente. Pazzesco, iniquo, degno di questa Italia che scivola nell'orrore.

Mentre Everyone conduce “una campagna contro la discriminazione e l'incitazione alla violenza razziale che assume ogni giorno toni più disperati”, Renato Mannheimer pubblica sul “Corriere della Sera” un sondaggio: L' Italia che non ama i rom «Antipatici» per otto su dieci (In classifica dopo gli albanesi), dove, benché sia rilevata l’ignoranza degli italiani – o almeno del campione rappresentativo – in materia, il quadro che il giornalista traccia sconcertante: “il tragico assassinio di Roma ha scosso fortemente la popolazione. Al di là della reazione immediata e della comprensibile richiesta di fermezza e di rigore nella punizione di questo ennesimo fatto di criminalità, l’episodio si colloca, dal punto di vista delle relazioni tra gli italiani e gli immigrati, specie quelli di origine romena e/o di etnia rom, in un contesto già molto problematico e tormentato”. Mannheimer illustra i risultati del suo sondaggio: “se si domanda agli italiani 'qual è la prima cosa che le viene in mente se le dico la parola â româ?’ la risposta più frequente (la dice più di un intervistato su quattro) è 'ladri', seguita, subito dopo, da 'nomadi'.”
Basta leggere questo sondaggio, a pagina 6 del quotidiano più autorevole del paese, per sentirsi confortati: se odi un rom non sei solo, sappilo:

Il 61% degli italiani dichiara di avere «molta» antipatia nei loro confronti. E un altro 20% afferma comunque di provarne «abbastanza». Si tratta di valori di gran lunga superiori a quelli rilevati nei confronti degli immigrati in generale: verso costoro l' insieme di «molta» e «abbastanza» antipatia non raggiunge il 40%.

“Rom” e “nomade” diventano, nella prassi dettata dal “senso comune” xenofobo, termini dispregiativi. Nella Mozione Europea che Everyone pubblica il 7 novembre, il gruppo decide di tornare all’utilizzo del termine “zingaro”. La mozione si scaglia contro la feroce persecuzione in atto:

L'omicidio di Giovanna Reggiani, di cui è accusato un Rom, ha innescato una spaventosa campagna razziale condotta dai politici e dai media italiani. Il giorno successivo al crimine, è stata approvata e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale la delibera che prevede la possibilità di allontanare i cittadini comunitari per esigenze di pubblica sicurezza. Di fatto, è iniziata una tragica sequenza di sgomberi e di espulsioni in tutta Italia, che riguardano i soggetti più deboli che vivono ai margini delle città: famiglie nomadi messe sulla strada in pieno inverno, circondate dall'odio razziale della gente comune, condizionata dalla vasta campagna mediatica diretta a criminalizzare gli Zingari. Il ministro degli esteri Romeno ha protestato ufficialmente contro il diffondersi della xenofobia in Italia, soprattutto dopo una spedizione punitiva compiuta da una banda di dieci razzisti armati e con i volti coperti che hanno aggredito a Roma quattro Zingari, pestandoli selvaggiamente e riducendone uno in gravi condizioni. Il nomade è ricoverato all'ospedale di Viterbo. Intanto i leader dei partiti di sinistra e destra si danno la mano nel fomentare odio con le loro dichiarazioni. Gianfranco Fini, leader di Alleanza Nazionale ed esponente di punta della Casa delle Libertà, propone quale soluzione del problema la "distruzione degli accampamenti e l'espulsione di chi non ha mezzi di sostentamento". Questo significa che migliaia di poveri, al 50% bambini, senza alcuna assistenza, malvestiti e malnutriti, spesso malati dovrebbero procurarsi entro 3 mesi dal loro arrivo in Italia un lavoro a tempo indeterminato e un alloggio adeguato al numero dei componenti la famiglia: una condizione che solo pochi fortunati italiani hanno garantita. Ma la maggior parte dei politici italiani, di destra e sinistra, è sulla stessa linea, salvo i gruppi tradizionalmente legati alle battaglie per i diritti umani.
Lo stesso Fini pubblica sul Corriere della Sera del 4 novembre 2007 un'intervista in cui invoca contro gli Zingari "una politica fatta di rigore, espulsioni, ordine, legalità". E chiarisce così la sua crociata: «E sull’integrazione bisogna essere chiari: c’è chi non accetta di integrarsi, perché non accetta i valori e i principi della società in cui risiede». «Mi chiedo come sia possibile integrare chi considera pressoché lecito e non immorale il furto, il non lavorare perché devono essere le donne a farlo magari prostituendosi, e non si fa scrupolo di rapire bambini o di generare figli per destinarli all’accattonaggio. Parlare di integrazione per chi ha una "cultura" di questo tipo non ha senso». Fini tira fuori contro gli Zingari gli stessi pregiudizi che usò la propaganda nazifascista e, nei secoli ancora precedenti, la Santa Inquisizione, fra cui lo spauracchio dello Zingaro "rapitore di bambini". Negli ultimi cento anni, in realtà, non risulta in Italia una sola condanna comminata a uno Zingaro per rapimento di bambini. In un momento di grande tensione fra i cittadini italiani e gli Zingari, i media continuano a fomentare odio. Roberto Calderoli della Lega Nord afferma: «Le ronde sono l'unica forma possibile di legittima autodifesa per i cittadini. Ronde a cui io stesso parteciperò». In un Paese civile, «non amministrato dagli amici degli Zingari, dei terroristi, dei delinquenti e dei lazzaroni, i sopra citati Zingari verrebbero immediatamente allontanati, metaforicamente parlando, a calci nel sedere".

La “bomba a tempo” di Grillo è esplosa. EveryOne “chiede urgentemente un intervento del Consiglio Europeo e della Corte Europea dei Diritti Umani”, e al nono punto delle sue richieste reclama: “una campagna diretta ai mezzi di informazione affinché conoscano, rispettino e seguano un protocollo etico volto a evitare la diffusione di modelli razzisti nei confronti degli Zingari attraverso stampa, radio e tv, come avviene in forma grave in Italia da molti anni”. La mozione evidenzia infatti le serie responsabilità che hanno i media nella deriva razzista del paese:

La stampa italiana conduce da tanto tempo una campagna calunniosa e infamante contro i nomadi, presentandoli al pubblico come ladri, sfruttatori di minori, pigri, rapitori di bambini, violenti […] Le poche associazioni per i diritti umani che si battono per i diritti dei nomadi subiscono ogni genere di pressione e di minaccia; i giornali, la televisione e la radio censurano la loro opera di divulgazione. I docenti di cultura Rom, Sinti e Kalé presso l'Università di Parigi Marcel Courthiade (professore responsabile) e Saimir Mile (membro del dipartimento cultura e diritti Rom, Sinti e Kalé del Gruppo EveryOne) concordano con l'analisi della situazione italiana espressa in più occasioni dal nostro Gruppo e affermano di rilevare “molti parallelismi con la fase iniziale del fascismo”.

Nei mesi successivi la situazione non migliora. L’Italia corre verso le elezioni, e non passa una settimana in cui non infuri il dibattito sull’“emergenza sicurezza”. Le orde fameliche che sbarcano a Lampedusa e le mani tese delle donne rom ai semafori diventano il simbolo di un male da estirpare. I confini sono stati sconsacrati. I politici impostano la loro campagna elettorale sulla domanda di sicurezza, e i media li seguono. Ma c’è anche chi denuncia il clima d’intollerabile intolleranza:

Nuova Unione, Nuovo Olocausto dei Rrom (www.annesdoor.com )
Tre mesi dopo l'articolo apparso su Newsweek e dedicato alla situazione dei Rrom in Italia, un servizio giornalistico in cui il nostro Paese è paragonato, in quanto a discriminazione, alla Germania di Hitler, bisogna rilevare che la discriminazione si è trasformata in persecuzione, annientamento civile (quello che i Rrom chiamano "la morte vivente") e genocidio. L'Unione Europea ha ammonito l'oppressione del popolo Rrom, gli sgomberi iniqui seguiti da "marce della morte", l'applicazione di leggi razziali, le espulsioni di massa, la campagna mediatica volta a diffondere fra gli italiani i germi dell'odio razziale. Come nell'epoca dei carnefici di Hitler, sono stati montati casi per criminalizzare i Rrom: l'omicidio di Giovanna Reggiani, commesso da un romeno - Romulus Mailat - che autorità e stampa hanno presentato come Rrom (un caso che, comunque, presenta molte ombre, sotto l'aspetto della regolarità delle indagini condotte dalle autorità e del procedimento giudiziale); il rogo di Livorno, in cui quattro bambini sono stati assassinati da un gruppo di razzisti - il Gape, che ha rivendicato l'attentato - ma la condanna detentiva è stata comminata ai genitori delle piccole vittime; il caso di Marco Ahmetovic, condannato a sei anni di prigione e messo alla gogna mediatica, mentre cittadini italiani colpevoli dello stesso crimine sono a piede libero e addirittura si è deciso di tutelare la loro privacy, evitando di divulgarne le generalità. Nel contempo sono avvenuti innumerevoli episodi di aggressione, nei confronti dei Rrom, spesso attuati da gruppi armati, senza che nessun responsabile sia stato sino ad oggi perseguito.

A marzo, di fronte al proliferare di articoli come Milioni agli zingari, ma tagli agli asili (“La Nuova”, 5 febbraio 2008), il Comitato per l’Eliminazione della Discriminazione Razziale (CERD) “esprime preoccupazione per il fatto che i mass media continuino a giocare un ruolo nel proiettare una immagine negativa delle comunità Rom e Sinti e che lo Stato parte ha intrapreso misure insufficienti per modificare questa situazione”, e prosegue raccomandando “allo Stato parte di incoraggiare i media a ricoprire un ruolo attivo nel combattere pregiudizi e stereotipi negativi che portano alla discriminazione razziale e di adottare tutte le misure necessari per combattere il razzismo nei media. Inoltre richiede allo Stato parte di adottare con urgenza un codice di condotta per i giornalisti steso in collaborazione con l’UNAR, l’UNHCR e la Federazione Nazionale Italiana per la Stampa”.
L’appello rimarrà inascoltato.

I rapimenti (primavera ‘08)

Il Partito Democratico nasce con l’urgenza della sicurezza, primo punto dell’agenda politica. Il centrosinistra sfida il PDL su un terreno famigliare ai rivali, forti dell’esperienza di AN e Lega Nord: la microcriminalità straniera è il nemico giurato della campagna elettorale. Il centrodestra cavalca le paure degli italiani e, trascinato dalla Lega, vince le elezioni. Appena 13 giorni dopo la vittoria, il Consiglio dei ministri si riunisce per redigere il DL 92: “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”. Non è il momento giusto per trovarsi in Italia. “Sicurezza” diventa antonimo di “immigrato clandestino delinquente” e di “nomade”. Le paure degli italiani vengono pilotate contro l’alterità. A Roma, Torino, Milano, Firenze e Napoli il clima d’intolleranza aumenta. Comincia la caccia al rom.
Napoli. Maggio 2008. Nel quartiere di Ponticelli, controllato dal clan camorrista Sarno, vivono più di 1500 rom. Una ragazza di nome Maria viene accusata di tentato rapimento. Racconta Giovanni Zoppoli su “Lo Straniero”, in Assalto al campo rom (14 maggio):

Nel maggio 2008, l’archetipo [dello “zingaro ladro di bambini] ha trovato finalmente una conferma: per la prima volta nella storia (fino a oggi nessun rom è stato mai condannato per “furto di bambini”) sembra che davvero una zingara abbia rubato un bambino. E stavolta non si capisce proprio perché non dovremmo crederci. Certo la zingara in questione in quella casa non era nuova, a sentire gli abitanti del quartiere ci era andata altre volte per ricevere in dono vestiti, e insomma la zingara si recava presso quella famiglia con una certa prevedibilità. Viene da chiedersi perché una persona sana di mente, che tutti vorrebbero cacciare dalla città e se riesce a restarci è per la copertura che le dà il territorio, un bel giorno decide di andare a rubare un bambino proprio nella casa dei suoi benefattori napoletani. Anche perché quei benefattori non sono persone qualunque, ma una famiglia molto inserita nel quartiere, che ha rapporti molto buoni col territorio. E il territorio a Napoli lo Stato riesce a governarlo meglio attraverso i boss locali che non attraverso i suoi poteri ufficiali. Capi e capetti della malavita a Ponticelli non ne mancano, e sembra ormai certo che erano stati proprio loro a vedere di buon occhio gli insediamenti dei rom nel quartiere napoletano qualche anno prima. Pare che i boss ai rom chiedessero il pizzo, una sorta di “tassa di accampamento”, in modo da tirar su qualche spicciolo. Poi hanno iniziato a nascere i comitati anti-rom e perfino quelli del Partito democratico, ammiratori di Cofferati, hanno fatto affiggere un manifesto inneggiante alla cacciata degli zingari da Ponticelli. Il clima contro i romeni accampati in via Argine ha iniziato a scaldarsi, ed ecco che la zingara ruba il bambino. Benzina sul fuoco. La gente del posto racconta che ancor prima degli incendi e degli incendiari, sul luogo del delitto erano presenti le telecamere della “Vita in diretta”. Ed è un fatto certo che i terreni dove c’erano i campi rom sono quelli interessati dal Pru, dal Piano di riqualificazione urbana e che, se entro l’agosto di quest’anno in quell’area non iniziano i lavori, 67 milioni di fondi ministeriali destinati alla riqualificazione di Ponticelli vanno perduti. Già negli anni precedenti le stesse gare sono andate deserte e i fondi sono andati perduti, ma questa è la prima volta che nel bando la quota per l’edilizia privata è aumentata di circa il 40%. Certo è pure che i boss della mala locale hanno molti interessi nell’edilizia. Diventati un problema più che una risorsa, i rom sono stati dunque cacciati. E non dalle ruspe di un sindaco che a Napoli è di cartapesta, ma da chi è deputato al controllo del territorio.
Ad andare in fumo, per l’ennesima volta, le relazioni “naturali” e “artificiali” (e anche le diverse migliaia di euro spesi in progetti di integrazione e mediazione). “Molte sono le associazioni che in questi anni si sono occupate di rom a Ponticelli. I laboratori per l’integrazione nelle scuole, come quello con bimbi di 6 anni italiani e rom, o le occasioni create per favorire incontro e scambio, sembrano oggi molto lontane”, dice Antonella Di Nocera, dell’Arci Movie di Ponticelli. A lei, come agli altri della rete di associazioni di Ponticelli di cui fa parte, tutta la faccenda sembra un brutto scherzo. “Ponticelli nel giro di qualche giorno è passata agli onori della cronaca come capitale del razzismo nazionale, terra di camorra e di xenofobia. Semplificare il male – che, ovviamente c’è – è molto più facile che raccontare la complessità dell’azione quotidiana per il bene”. E aggiunge: “I media ricostruivano l’accaduto mentre stava ancora accadendo! Chi era presente aveva la netta sensazione che le telecamere provocassero, anzi fomentassero gli assalti e i blocchi stradali. Costruzione della realtà e sua rappresentazione erano fuse come non mai”. Effettivamente la sera dei roghi di Ponticelli, sulla lunga strada che faceva da sponda al campo, la gente era davvero in preda all’isteria televisiva, ed era strano sentire in puro dialetto napoletano le parole tante volte ascoltate a “Porta a porta” da Borghezio, Bossi, Fini...

I raid di Ponticelli sono dati in pasto al voyeurismo di telespettatori e lettori: reportage e fotogallery si moltiplicano. L’articolo di Giovanni Zoppoli termina così:

Prima della camorra, prima dell’odio xenofobo alimentato da destra e da sinistra in campagna elettorale, dietro ai roghi di Ponticelli ci sarebbe insomma soprattutto il malessere di un quartiere, il suo senso d’abbandono, e dunque una disperata mancanza di fiducia nelle istituzioni.
Lo scenario dei roghi al campo rom di Ponticelli si è ripetuto in maniera quasi uguale a quello del 2000 a Scampia. Molti dei rom, anche dagli altri campi di Napoli (compresi quelli superstiti di Scampia), sono fuggiti verso altre regioni e nazioni; molti cittadini napoletani (compreso il simpatico omino dell’Asìa che ci ha dato il benvenuto in piazza Grandi Eventi) hanno avuto un rigurgito razzista, inneggiando alla cacciata dei rom. Le istituzioni, come nel 2000, di fronte all’ennesima emergenza, non hanno saputo che pesci pigliare.
Eppure qualcosa di diverso c’è. Oltre all’inquietante investitura di un “Prefetto speciale per i rom” paventata anche a Napoli, mentre nel 2000 tutti si affrettarono a condannare i roghi come un atto riprovevole, oggi tutti, a partire dai giornali, si sono fiondati a riconoscere la superiorità organizzativa della malavita organizzata rispetto allo Stato. Dove lo Stato non è riuscito a fare gli sgomberi è riuscita la Camorra.

This xenophobia reveals the power of organised crime (Questa xenofobia mostra il potere del crimine organizzato) scriverà “The Guardian” il 21 maggio. La strada è spianata. Ora non resta che attuare il Pru, titola il quotidiano “Roma” del giorno dopo. Intanto, nell’attesa della verità, i media italiani hanno già scritto la loro condanna.
L’eco mediatica del caso di Ponticelli è spaventosa. Carta stampata e televisioni cominciano il linciaggio preventivo. “Il Corriere della Sera” del 13 maggio titola Napoli, vendetta anti rom «Via chi rapisce bambini» e racconta la “guerra al rom” appena cominciata. La furia xenofoba dei napoletani è chiamata “rivolta”. Anche se l’articolo non condanna esplicitamente e a priori Maria, la ragazza additata come colpevole del tentato rapimento, dopo aver dato anche voce all’Opera Nomadi di Napoli, termina però così: “Tutto questo mentre nella vicina Frattamaggiore i carabinieri inseguivano due ladri rom: una sparatoria e poi la fuga attraverso un campo nomadi favorita dal fatto che i romeni all'ingresso hanno bloccato i militari”.
I raid sembrano così giustificati nella testimonianza della giornalista Giusi Fasano. Sullo stesso quotidiano un altro sottotitolo sembra approvare la “rappresaglia”: Lancio di molotov, in fiamme campo rom. Una «ronda» accoltella giovane nomade (Prosegue la rappresaglia: 4 baracche distrutte in un incendio. Confermato il fermo della nomade sedicenne che aveva rapito la neonata). Nella settimana successiva al “rapimento” la tempesta mediatica si abbatte sul “pericolo rom”. Solo sul “Corriere della Sera”, più di venti articoli ne parlano, tra i quali si trovano titoli come: Fiamme nei campi rom del quartiere (Nomadi cacciati da Ponticelli) e La gente di Ponticelli festeggia: i rom vanno via (Rivolta contro i nomadi) del 14 maggio; La fuga dei rom dai campi sotto assedio (Napoli, altri due roghi. Fischi ai pompieri) e In motorino con le molotov «È la nostra pulizia etnica» (Le bande di incendiari partono dal fortino del boss) del 15 maggio.
In un clima infuocato come questo, risalta per la sua tolleranza un titolo: La mamma della bimba «rapita»: i rom sono cattivi, ma ora basta con le violenze (Flora implora il «cessate il fuoco»: «Non volevo che si arrivasse a tutto questo. Devono andarsene ma in modo pacifico e civile») del 14 maggio.
“Tutto è ancora una volta funzionale alla messa in onda della sceneggiata nazionale su immigrazione e criminalità. Come per il ‘reato di clandestinità’, che non potrà mai essere applicato per mancanza di mezzi, di persone e di capacità, ma che serve a gonfiare l’operazione sicurezza, giocata tutta sul piano dell’immaginario collettivo”, osserva Giovanni Zoppoli. Nell’inchiesta di Everyone sugli avvenimenti, è interessante l’ammissione di un funzionario del carcere che, dopo aver ascoltato le ipotesi che scagionerebbero la presunta rapitrice, dice: “Avete ragione, anche noi siamo in difficoltà, perché questo non è un evento diverso da tanti altri, ma qualcuno ha voluto trasformarlo in un caso nazionale. Gli inquilini di Ponticelli fanno blocco: i Rom non li vogliono più”. L’isteria collettiva è al culmine. Anche i bimbi ne sono infettati: Ponticelli, i temi dei bimbi: «Giusto bruciare le case dei rom» (Gli alunni delle elementari: costretti a usare le maniere forti. Ma c' è anche chi scrive: restino, ma con un lavoro). I raid di Ponticelli sono ormai definiti “rappresaglie”. L’articolo del 28 maggio racconta:

NAPOLI - «Hanno esagerato ed abbiamo dovuto bruciare i loro accampamenti». Sono le parole scritte nel tema di fine anno da un bambino di una quarta elementare di Ponticelli. Il quartiere a est di Napoli dove due settimane fa alcuni insediamenti rom furono dati alle fiamme per la rappresaglia seguita alla vicenda di una giovane nomade accusata di aver tentato di rapire una neonata. Nei disegni e nei temi di molti bambini dell' Istituto San Giovanni Bosco ci sono le case in fumo, bimbi che chiedono aiuto, rom che dicono «ciao italiani, ci rivedremo presto», le scene degli assalti e la loro, personale, visione dei fatti. «La gente ha fatto bene a bruciare i campi rom di Ponticelli - ha scritto Giuseppe - visto che non se ne sono andati con le buone, abbiamo dovuto usare le maniere forti». «I residenti - scrive Francesco - sono stati eccessivi ma forse hanno ragione perché sono stati lasciati soli. Ora che il problema è stato sollevato, lo Stato intervenga per risolverlo». Ed ancora, Serena: «La gente ha fatto bene a bruciare i campi rom perché abbiamo già troppi problemi e ci bastano. Lo Stato potrebbe far costruire alcuni palazzi solo per i rom». «Che siano pochi o molti ad averlo scritto nei temi - dice Mariano Coppola, il vicepreside della scuola coinvolta - poco importa, è grave anche se è stato uno solo ad averlo detto». All' assalto ai campi dei rom parteciparono anche molti bambini che guardavano i genitori e i fratelli maggiori lanciare molotov e abbattere a calci le baracche. Una diaspora che ha coinvolto tutti gli studenti di Ponticelli. Gli alunni della San Giovanni Bosco, tutti tra i 9 e gli 11 anni, hanno discusso a lungo su quanto accaduto. Il giorno successivo al primo incendio, quello di via Dorando Petri, per puro caso una scolaresca si era data appuntamento per una gita proprio di fronte alle macerie ancora fumanti di un campo. Già dal giorno del primo incendio, i bimbi rom che faticosamente erano stati inseriti nel tessuto scolastico di Ponticelli, si erano dissolti nel nulla. Erano una cinquantina, secondo lo sportello immigrati del quartiere. I temi di questi bambini per don Tonino Palmese, responsabile campano di «Libera», associazione creata da don Luigi Ciotti, «sono segnali da non sottovalutare». Don Tonino conosce bene gli alunni della San Giovanni Bosco e quanto successo a Ponticelli lo spiega come una protesta pilotata dalla criminalità del posto. Ma non tutti i bambini del quartiere hanno reagito allo stesso modo. «Se vogliono restare non devono rubare» scrive Katia, come Francesca che aggiunge: «I rom possono anche restare ma devono lavorare. Possono sopravvivere con qualsiasi attività, basta che non sia illegale».

Il giorno dopo “Il Manifesto” pubblica un appello:

La deriva del razzismo
Siamo persone - storici, giuristi, antropologi, sociologi e filosofi - che da tempo si occupano di razzismo. Il nostro vissuto, i nostri studi e la nostra esperienza professionale ci hanno condotto ad analizzare i processi di diffusione del pregiudizio razzista e i meccanismi di attivazione del razzismo di massa. Per questo destano in noi vive preoccupazioni gli avvenimenti di questi giorni.
Le aggressioni agli insediamenti rom, le deportazioni, i roghi degenerati in veri e propri pogrom, e le gravi misure preannunciate dal governo col pretesto di rispondere alla domanda di sicurezza posta da una parte della cittadinanza. Avvertiamo il pericolo che possa accadere qualcosa di terribile: qualcosa di nuovo ma non di inedito.La violenza razzista non nasce oggi in Italia. Come nel resto dell'Europa, essa è stata, tra 800 e 900, un corollario della modernizzazione del Paese. Negli ultimi decenni è stata alimentata dalla strumentalizzazione politica degli effetti sociali della globalizzazione, a cominciare dall'incremento dei flussi migratori e dalle conseguenze degli enormi differenziali salariali. Con ogni probabilità, nel corso di questi venti anni è stata sottovalutata la gravità di taluni fenomeni. Nonostante ripetuti allarmi, è stato banalizzato il diffondersi di mitologie neo-etniche e si è voluto ignorare il ritorno di ideologie razziste di chiara matrice nazifascista. Ma oggi si rischia un salto di qualità nella misura in cui tendono a saltare i dispositivi di interdizione che hanno sin qui impedito il riaffermarsi di un senso comune razzista e di pratiche razziste di massa. Gli avvenimenti di questi giorni, spesso amplificati e distorti dalla stampa, rischiano di riabilitare il razzismo come reazione legittima a comportamenti devianti e a minacce reali o presunte. Ma qualora nell'immaginario collettivo il razzismo cessasse di apparire una pratica censurabile per assumere i connotati di un «nuovo diritto», allora davvero varcheremmo una soglia cruciale, al di là della quale potrebbero innescarsi processi non più governabili. Vorremmo che questo allarme venisse raccolto da tutti, a cominciare dalle più alte cariche dello Stato, dagli amministratori locali, dagli insegnanti e dagli operatori dell'informazione. Non ci interessa in questa sede la polemica politica. Il pericolo ci appare troppo grave, tale da porre a repentaglio le fondamenta stesse della convivenza civile, come già accadde nel secolo scorso - e anche allora i rom furono tra le vittime designate della violenza razzista. Mai come in questi giorni ci è apparso chiaro come avesse ragione Primo Levi nel paventare la possibilità che quell'atroce passato tornasse.
Marco Aime, Etienne Balibar, Rita Bernardini, Alberto Burgio, Carlo Cartocci, Tullia Catalan, Enzo Collotti, Alessandro Dal Lago, Giuseppe Di Lello, Angelo d'Orsi, Giuseppe Faso, Mercedes Frias, Gianluca Gabrielli, Clara Gallini, Pupa Garribba, Francesco Germinario, Patrizio Gonnella, Gianfranco Laccone, Maria Immacolata Macioti, Brunello Mantelli, Giovanni Miccoli, Filippo Miraglia, Giuseppe Mosconi, Grazia Naletto, Michele Nani, Salvatore Palidda, Marco Perduca, Giovanni Pizza, Pier Paolo Poggio, Carlo Postiglione, Enrico Pugliese, Anna Maria Rivera, Rossella Ropa, Emilio Santoro, Katia Scannavini, Renate Siebert, Gianfranco Spadaccia, Elena Spinelli, Ciro Tarantino, Giacomo Todeschini, Nicola Tranfaglia, Alessandro Triulzi, Fulvio Vassallo Paleologo, Barbara Valmorin, Danilo Zolo.

Sicurezza, quei rom ladri di bambini ha titolato “Il Giornale” del 12 maggio, cominciando il linciaggio mediatico. Si ripete così la vicenda siciliana del 30 luglio 2007, così annunciata da Repubblica: Tenta di rapire bimbo sulla spiaggia Sventato sequestro a Isola delle Femmine. La donna rom arrestata sulla spiaggia, accusata di aver tentato di rapire un bambino nascondendolo sotto la gonna, è liberata dopo 24 ore di fermo. Dopo la vicenda, il segretario dell’Ordine nazionale dei giornalisti Enzo Iacopino dichiara: «Quando scriviamo, dobbiamo farci carico della responsabilità che le nostre parole hanno, conseguenze anche violente per le persone che citiamo… a volte, come in questo caso, [accuse] assolutamente infondate…dobbiamo avere più rispetto per l’altro». Infatti, più di 20 articoli sui quotidiani (“La Repubblica”, “Il Corriere della sera”, “Il Tempo”, ANSA, Marsala.it, Leggo online...) riportano il “tentato rapimento”, e i notiziari televisivi partecipano all’isteria collettiva. Si tratta di un vero e proprio incitamento all'odio razziale a mezzo stampa: si condanna, ancora prima del fatto, una donna sulla base di un'etnia e di stereotipi culturali. La scarcerazione della donna è sussurrata, e non da tutti i giornali che hanno gridato additando la “nomade”. Le rettifiche sono molto più rare della “bomba”, la notizia incriminante.
Il Gip condanna duramente i protagonisti della vicenda: “La donna è stata vittima di psicosi collettiva e del pregiudizio contro gli zingari”. Scrive nell'ordinanza di scarcerazione: “Il gesto compiuto dalla nomade se posto in essere da una qualunque altra bagnante sarebbe stato interpretato quale manifestazione delle più varie intenzioni: dalle coccola verso il bambino al tentativo di fermarlo mentre correva verso la strada. La teste ha invece valutato la condotta della donna come un atto diretto di rapimento solo perché commesso da una zingara”.
Al di là delle decine di testimonianze raccolte dagli stessi cronisti dopo il presunto tentativo di sequestro, l'unica persona che aveva effettivamente visto qualcosa era stata A.D., una donna che sin dalle prime battute dell'interrogatorio reso domenica ai carabinieri, aveva ammesso di essere letteralmente “terrorizzata dagli zingari”. A.D. ha detto di aver avuto paura, di avere provato la sensazione che Maria Feraru (la donna accusata) stesse tentando di portare via il bimbo di tre anni: dopo avere ricostruito minuziosamente i fatti, la testimone ha pure ammesso che non era stata la zingara a correre verso il bambino, ma il piccolo a scappare verso l'uscita dello stabilimento. La gonna -sotto la quale, secondo la versione passata di bocca in bocca e data per verità assodata, la rom avrebbe cercato di nascondere il bambino si era aperta perchè la Feraru si era piegata in avanti per raccogliere qualcosa.
Le raccomandazioni di Iacopino non sono servite. La storia si ripete dopo il “tentato rapimento di Ponticelli”. Già il 12 maggio la rivista “Carta” scrive:

Sono in molti, tra gli addetti ai lavori, a dubitare della versione dei fatti servita dai media. Secondo Annamaria De Stefano, Responsabile dell’Ufficio rom e patti di cittadinanza del Comune, «assistiamo come altre volte allo spiattellare di uno grosso stereotipo sui rom. È molto più probabile che la ragazza incriminata sia entrata in quell’appartamento per rubare qualche oggetto di valore, non certo una bambina». Un parere condiviso anche da Marco Nieri, «la mamma della bambina ha già dato versioni contraddittorie, ma le indagini sono tuttora in corso e mi riservo di vedere il loro esito. Intanto però posso affermare che di solito i rom non rubano i figli di ‘gadgi’. Comunque sia, il clima è pesantissimo, c’è stato un vero e proprio tentativo di linciaggio».
Tra i circa cinquecento rom di Ponticelli, che vivono in sei campetti, molti hanno alle spalle diversi sfratti. «I rom che abitano qui – spiega Marco Nieri – si arrabattano a vivere. Non ci sono grandi fenomeni delinquenziali. L’illegalità riveste per lo più la forma di vendita di Ape usate senza il debito passaggio di proprietà o l’occupazione del suolo demaniale. Nonostante le strumentalizzazioni politiche, non siamo di fronte a un’emergenza securitaria ma a un’emergenza umanitaria». Nei campi di Ponticelli non c’è l’acqua corrente, né i servizi igienici.
Parole che non trovano terreno favorevole tra quelli che già parlano di istituire ronde a Ponticelli. E ora si teme l’ennesimo sfratto. «Una pratica inutile – tiene a precisare Nieri – come le ronde, o la giustizia fai da te. Per buttare giù una baraccopoli servono tra i 40 mila e i 100 mila euro. Serve invece che le istituzioni locali rispettino gli impegni precisi che hanno preso, a partire dalla riallocazione di queste famiglie». Anche perché ad agosto dovrebbe partire, proprio a Ponticelli, il cantiere per la Città della musica.
Il neoministro dell’interno Roberto Maroni ne ha approfittato per ribadire che «nel vocabolario del ministro dell’interno non esiste la parola ‘sanatoria’ ma esiste la parola ‘contrasto’ all’immigrazione clandestina e sicurezza dei cittadini». Secondo Maroni bisogna dare risposte a tutti, ma in particolare «alla ragazza di Napoli». Presto fatto: il pacchetto sicurezza, aggiunge l’esponente della Lega, è quasi pronto e già tra mercoledì e giovedì il governo avrà messo a punto i nuovi provvedimenti che saranno poi portatati al Consiglio dei ministri la settimana prossima. «La priorità del governo – ha affermato Maroni, in caso qualcuno ne dubitasse ancora – è la sicurezza». Tanto che il ministro della difesa Ignazio La Russa non ha escluso in un’intervista a La Sicilia il coinvolgimento dell’esercito. «L’esercito viene di solito impiegato per difesa esterna e non interna – ha detto La Russa – ma non escludo nulla. Bisognerà valutare con attenzione. Domani sulla sicurezza abbiamo un incontro con Maroni e Alfano e discuteremo anche di questa eventualità, tenendo presente che abbiamo molti militari impiegati nelle missioni all’estero».

Le vere notizie, e le inchieste serie sono ignorate dai mass media. Dopo i fatti di Ponticelli è caccia al Rom in tutta Italia, titola “L’Unità” del 15 maggio 2008. Eppure, ancora una volta, non c’è stata nessuna “zingara rapitrice”. La Rom non era una Rom, titola il 23 maggio Alessandro Gilioli, giornalista dell’Espresso, sul suo blog “Piovono rane” il 23 maggio, e riferisce l’inchiesta di Everyone:

E non ha nemmeno tentato di rapire un bambino.
Un’associazione indipendente per i diritti umani indaga sul presunto tentato rapimento di un bambino a Ponticelli e scopre diverse cosucce interessanti.
Ps. Sia ben chiaro che qui non si sta santificando il popolo Rom. Si sta solo cercando di mettere in luce come nella triste guerra “tra ultimi e penultimi” (Adriano Sofri) ci sia stato un perverso e mostruoso effetto dei meccanismi mediatici nella creazione della famosa “percezione”, che poi si traduce in comportamenti e leggi.

Angelica, la ragazza accusata, è slava e non romnì. È “una montatura”. L’indagine di Everyone, pubblicata sul sito il 18 maggio, mette in luce numerosi aspetti quantomeno sospetti della vicenda, che ha scatenato la “follia antizigana”:

La testimonianza di Flora Martinelli, la madre della bambina, del padre di lei Ciro e dei loro vicini di casa è falsa. Il Gruppo EveryOne ha indagato accuratamente sull'evento che ha scatenato una vera e propria caccia al Rom, che da Napoli si è diffusa a macchia d'olio in tutta Italia. Fin dall'inizio le dinamiche del rapimento non ci hanno convinto, perché chi conosce la palazzina in cui sarebbe avvenuto il reato sa che è praticamente inaccessibile, sia per il cancello che per l'attenta sorveglianza degli inquilini, affermano i leader del Gruppo EveryOne Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau. Vi sono poi discordanze fra le testimonianze della Martinelli, di suo padre e dei vicini.
La donna in un primo momento ha dichiarato che la porta del suo appartamento sarebbe stata forzata, poi ha ricordato di averla lasciata aperta. Dopo aver notato la porta aperta , la madre sarebbe andata a controllare la culla, quindi sarebbe tornata verso il pianerottolo dove avrebbe sorpreso - passati almeno venti secondi - la ragazzina Rom con la sua piccola in braccio. Non solo: avrebbe avuto ancora il tempo di raggiungerla e strapparle la bambina. Quindi la Rom si sarebbe mossa al rallentatore, consentendo a nonno Ciro di raggiungerla, afferrarla e schiaffeggiarla al piano di sotto. Alcuni dei vicini hanno riferito alle autorità che Angelica aveva ancora la bambina in braccio, quando l'hanno fermata. Ma non basta, perché nei giorni precedenti al fatto, gli inquilini della palazzina si erano riuniti più volte, con un solo ordine del giorno: come ottenere lo sgombero delle famiglie Rom accampate a Ponticelli.

Qualche mese dopo si terrà a Roma una conferenza stampa promossa dalla Fondazione Migrantes, dal titolo “La Zingara rapitrice”, che presenterà una ricerca commissionata al Dipartimento di Psicologia e Antropologia Culturale dell’Università degli Studi di Verona sui presunti tentati rapimenti, addebitati ai rom nell’arco di tempo che va dal 1986 al 2007 in Italia.
“Il risultato principale che emerge dalla ricerca è che negli ultimi vent’anni nessun rom è mai stato condannato per aver rapito un bambino. Questo dato dovrebbe bastare per annoverare i racconti di zingari che rapiscono i bambini nella categoria delle leggende metropolitane” (worldpress.com):

Non esiste nessun caso in cui sia avvenuta una sottrazione del bambino: nessun esito, infatti, corrisponde ad una sottrazione dell’infante effettivamente avvenuta, ma si è sempre di fronte ad un tentato rapimento, o meglio, ad un racconto di tentato rapimento.
Molto spesso i media denunciano il “fatto” dando come provato e “vero” il tentato rapimento ignorando poi le dichiarazione anche ufficiali che lo smentiscono. Se poi qualche volta tornano sulla vicenda, non è per comunicare che i Rom non c’entrano niente, ma è perché l’esito scioglie in sé altri eventi: truffe, fatti drammatici, situazioni che suscitano ilarità.

Alla deriva (estate ’08)

Oramai la “caccia al rom” è cominciata. Il Corriere titola il 15 maggio: Il sindaco di Verona, Tosi: i napoletani fanno bene, giusto togliere gli accampamenti rom. E mentre il PD stila un “manifesto antirom”, l’eurodeputata Mohacsi ricorda che, nel pieno dell’“emergenza nomadi”, “l’Italia non ha neanche chiesto i soldi previsti dalla Ue” per l’integrazione delle minoranze (“Il Corriere della Sera”, “Carta” e ANSA riportano la notizia). “Repubblica” diffonde il 21 maggio una “lettera al direttore”, che è la perfetta spia della “deriva razzista” che i media hanno fomentato:

Sono da sempre contro la pena di morte (è un orrore, vedi scene dell'esecuzione di Saddam Hussein), sono una persona pacifica, ho sempre votato - anche un mese fa, per il centrosinistra, eccetera eccetera eccetera. Ma sono anche papà di due bambini di 4 e 5 anni, e a leggere su Repubblica che 3 malviventi "TENTANO DI RAPIRE BIMBA 3 ANNI", mi chiedo se chi compie o tenta di compiere un orrore come strappare un bambino alla propria famiglia e farlo sparire per sempre non meriti l'ergastolo. Mi risponda di no e giuro che non leggerò mai più nessuna mezza riga che lei scrive. Oppure sì: farò leggere la risposta alla mamma di Denise o al papà di Angela Celentano. Scusi per l'aggressività. Non è per lei, ma per chi non sa fare leggi e farle ripettare non dico su questioni discutibili, ma su delitti limpidamente orribili come questo.
Luigi Antonini

È emblematico il titolo sotto il quale è pubblicato questo breve scambio: Rubare i bambini o rubare la verità? Il direttore risponde così:

Quando leggo di due casi tanto simili e spaventosi nell'arco di pochi giorni, in questo clima da caccia all'untore, le mie pur vecchie antenne di cronista si rizzano. Possibile che questi Rom proprio adesso, mentre sanno di essere sotto il fuoco incrociato e non metaforico di governo e di popolazione, si lancino in massa a rapire bambini italiani, il peggiore dei reati possibili, penalmente e psicologicamente? Poi inciampo in una storia che nessun TG, certamente non l'orrido TG1 autocelebratorio del momento, vi racconterà, dopo avere dato ampio credito alla mamma sconvolta, una storia che apre qualche dubbio almeno sulla vicenda di Ponticelli che ha scatenato il pogrom e che potete leggere in inglese sul sito dell'organizzazione per i diritti civili Gruppo EveryOne o, in italiano su http://www.annesdoor.com/club.html#195082, grazie a Luca Sofri e al suo "Wittgenstein". Non so, perché sono sempre scettico (non cinico) se questa sia la verità o se sia soltanto la versione della difesa, ma so, e così rispondo anche a lei, che prima di aprire la botola, far correre le palline di cianuro, fare pulizie con le molotov o pompare la siringa, occorre sempre fermarsi e pensare. Non sempre le cose sono quello che appaiono.
Vittorio Zucconi

La risposta giunge tardiva. La verità è già stata rubata, mutilata. Il bombardamento mediatico è cominciato. Nella sola Torino la freepress è inarrestabile. “Torino Cronacaqui” (un quotidiano locale a soli 20 centesimi con una tiratura di forse 40 000 copie), titola in prima pagina il 12 giugno Invasi dagli zingari. Il quotidiano getta benzina sul fuoco dell’intolleranza cittadina. E così il 4 giugno ancora un titolo aggressivo: MONCALIERI. Quinto furto in pochi mesi in un circolo di borgata Tetti Rolle. Duro sfogo della proprietaria. “Il centro anziani ostaggio degli zingari” Ma i problemi sono anche altri: “Questa è terra di nessuno, i nomadi si comportano da padroni”. L’articolo racconta la vita impossibile di una signora argentina che da diversi mesi gestisce un centro d’incontro per gli anziani della zona: la didascalia del riquadro con la foto della proprietaria del centro titola: DISPERATA.
Colpisce il fatto che il giorno stesso, sempre a Moncalieri, un episodio di intollerabile gravità ha movimentato la vita del bus numero 67. Ma nel numero del 5 giugno di “Torino Cronacaqui”, così come in quelli seguenti, non c’è traccia della notizia. Lo riferisce l’associazione Almaterra:

Torino, 04 giugno 2008
Vogliamo denunciare un grave episodio, accaduto questa mattina, di cui è stata testimone una Mediatrice interculturale di Moncalieri. Alle 08:30 circa, sul bus 67 (capolinea di Moncalieri), pieno di gente che a quell’ora è diretta a scuola o a lavoro, è salita una pattuglia della polizia, ha intimato a tutti gli stranieri di scendere, ha diviso maschi e femmine con bambini, ha chiesto il permesso di soggiorno.
Molte persone avevano con sé solo la carta di identità italiana, altri il permesso di soggiorno, altri ancora né l’uno né l’altro.
Tutto l’episodio si è svolto accompagnato da frasi quali : “non ce ne frega niente della vostra carta di identità italiana” , “è finita la pacchia”, “l’Italia non è più il Paese delle meraviglie”.
Gli agenti hanno fatto salire tutti gli uomini su un cellulare, solo un uomo marocchino, mostrando la carta di identità italiana, si è rifiutato di salire, chiedendo di che cosa veniva accusato e che avrebbe fatto riferimento al suo avvocato.
Gli agenti l’hanno lasciato andare.
Nessuno dei passeggeri rimasti sull’autobus è intervenuto, anzi, molte delle persone presenti, anche sui balconi delle case intorno e sui marciapiedi, hanno applaudito.
Ci aspettiamo che venga fatta chiarezza e che non si ripeta mai più un simile episodio in un Paese che si dichiara civile e democratico.

Sempre su “Torino Cronacaqui”, tra le LETTERE al direttore di due giorni dopo si trova lo “sfogo di un disabile” dal titolo A questo punto voglio diventare rom. In una delle ultime frasi della lettera Stefano Cauda, il “Torinese Doc” disabile scrive: “Allora mi dico: meglio diventare un rom o extracomunitario, così avrò anch’io una casa, e un vitalizio giornaliero come hanno loro…”. La leggenda metropolitana del “vitalizio giornaliero”, così come quella della “zingara rapitrice”, ha preso piede. Gli stessi quotidiani nazionali si rendono conto che è oramai in atto una vera e propria caccia alle streghe. C’è un tentativo di retromarcia. Il 7 giugno, su “La Stampa” compare un articolo dal titolo Se lo stupro ha marchio italiano, di Ferdinando Camon:

Immaginiamo la notizia a parti rovesciate: un marocchino di oltre 30 anni stupra e mette incinta una minorenne italiana, in età di scuola media; forse che dopo due-tre giorni la lasceremmo cadere? Ma saremmo ancora qui a pompare sui dettagli, che poi sono quelli che contano: lui maturo, potrebb’essere marito e padre, lei bambina, potrebb’essere sua figlia, ingenua, va alla cerca della vita, ogni amicizia che incontra è una scoperta; lui che l’attira a casa propria, se ne fa amico e confidente, ne approfitta turpemente, e anche dopo riesce a tenerla così legata che lei non fiata con nessuno. Se la cosa stesse in questi termini, odieremmo non solo quel marocchino, ma tutti i marocchini; già sento le urla della Lega, «castrazione chimica», anzi no, «castrazione fisica», e un fattaccio del genere sarebbe utilizzato come una «vis a tergo» per far marciare il reato d’immigrazione clandestina, e forse riuscirebbe anche a farlo arrivare in porto.

Invece la notizia è rovesciata: un italiano, un uomo maturo, ha irretito una bambina marocchina di 13 anni, se l’è fatta amica, l’ha portata a casa propria, e l’ha stuprata, lasciandola incinta. Lei era così inesperta e immatura che non ha capito bene che cosa le stesse succedendo. Metteva su pancia, e stava zitta. È stata la madre a spaventarsi, è corsa dalla polizia, ha esposto i suoi sospetti, e l’uomo è stato individuato e arrestato. Non era al primo tentativo. Scavando nel suo passato, hanno scoperto che aveva già adescato e violentato due ragazzine, sempre minorenni. Sentiva un’attrazione irresistibile per le bambine immature, e di solito questo avviene perché le minorenni sanno così poco che con loro non devi aver paura: è la paura che fa fuggire un uomo maturo dal cercare le coetanee, che sanno tutto, e lo spinge a cercare le piccole, che non sanno niente. La paura si sfoga con la vendetta. Sulla piccola puoi essere violento, tu sei un padrone e lei la tua piccola schiava. C’è del sadismo in questi atti. Ma se si ripetono, non sono più atti, diventano comportamenti. Qualche volta l’uomo avrebbe usato, per indurre a una più completa obbedienza le piccole vittime, anche della droga: aspettiamo che le indagini ci dicano tutto, e sapremo anche questo.

Se fosse un marocchino e avesse violentato una bambina italiana, in età da terza media, perfino le nostre madri di famiglia, la parte della società meno incline alla protesta violenta, cederebbero alla voglia di giustizia-vendetta. I giornali seguono il pubblico, e dunque seguirebbero il montare della collera. La bambina susciterebbe la pietà generale, tutti la sentiremmo come nostra figlia, e patiremmo per la sua innocenza violata. Il violatore di tanta innocenza sarebbe un barbaro, proveniente da terre che non conoscono la civiltà, portatore in mezzo a noi di condotte tribali, e noi proteggeremmo quella bambina anche per senso paterno, essere genitore vuol dire essere padre di tutti i figli, tutti i figli sono un po’ tuoi. Bene, e adesso?

Un violentatore non è più tale se è della nostra razza, della nostra nazione? I 13 anni di una bambina nata fuori d’Italia non valgono come i 13 anni di una piccola italiana? La sua innocenza, quel vedersi la pancina crescere senza sapere perché, che ci terrorizza al solo pensiero che potesse capitare a una milanese o torinese, smette di tormentarci solo perché è capitato a una del Marocco? Non ci viene in mente che un’immigrata ha, rispetto a una coetanea italiana, anche il trauma di venire da fuori, parlare un’altra lingua, andare in cerca di tutto, soprattutto di relazioni di cui fidarsi?

Era, anzi è, una buona occasione per ragionare sul fatto che lo stupro non è una questione di razza, non lo fanno soltanto gli immigrati, romeni, marocchini. Lo fanno anche gli italiani. E sono altrettanto bravi. Questo qui lo faceva con una certa abitudine. Frequentava i luoghi dove trovava materiale femminile meglio predisposto ai soprusi, scuole, parrocchie, oratori. Costruiva la sua sequenza di stupri come una scala, voleva salire sempre più in alto, raggiungere un primato: s’era fatto un’italiana quindicenne, un’altra quattordicenne, e ora questa marocchina tredicenne. Per fortuna l’han fermato. Ora è a San Vittore, coperto di vergogna. Un po’ di vergogna però, confessiamolo, copre anche noi.

Sempre “La Stampa” pubblica, il 10 giugno, un editoriale di Arrigo Levi, dal titolo Fummo tutti nomadi:

«A quanto sembra» - ha scritto questo giornale, che ha giusta fama di credibilità - la candidatura a nuovo vicegerente del vicario del Papa per la diocesi di Roma di monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, esponente della Comunità di Sant’Egidio, è stata scartata, pur essendo stata «ripetutamente richiesta dalla base ecclesiale». E la ragione sarebbe che Sant’Egidio dimostra «troppe simpatie per i rom» e per gli extracomunitari. Non sono in grado di confermare, ancorché vecchio amico di don Vincenzo (se le cose siano andate così, e se effettivamente gli verrà preferito un altro degnissimo sacerdote, monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano, vicino ai Focolarini). Debbo fra l’altro a un suggerimento degli amici di Sant’Egidio se il cardinale Ruini, ora vicario uscente del Papa nella diocesi romana (a cui mi legano sentimenti di stima), mi volle come dialogante laico sul tema della fede con il cardinale Biffi, dall’altare della Cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano: e fu un’esperienza emozionante. Se ho qualche dubbio sulla notizia del «siluramento» dall’alto di don Paglia è solo perché, negli stessi anni in cui l’eminenza Ruini, ancora assai influente, fu «vicario del vicario di Cristo», mons. Paglia fu ambasciatore viaggiante di Giovanni Paolo II a Mosca, a Bucarest e in altre capitali ortodosse; e so che fra i due vi è rispetto e amicizia. Quello che è fuori dubbio è che la Comunità di Sant’Egidio è dal lontano 1982 impegnata nell’assistenza ai rom e agli extracomunitari di Roma; e che nella loro presenza, come è stato scritto su questo nostro giornale, essa «vede solo sfide pastorali e sociali e non minacce». Lo conferma ancora una volta il libro Il caso zingari (ed. Leonardo International) che comprende scritti di Andrea Riccardi, Marco Impaglazzo, Amos Luzzatto, Giovanni Maria Flick, Paolo Morozzo della Rocca e Gabriele Rigano. Questo libro ho presentato qualche tempo fa, insieme col cardinale Crescenzio Sepe, vescovo di Napoli. Questi ha fra l’altro fatto notare che a zingari ed extracomunitari prestano (purtroppo) concreta assistenza la Chiesa e i suoi movimenti, più dello Stato e delle sue istituzioni. Quanto alle popolazioni delle periferie a più diretto contatto con gli zingari, esse hanno nei loro confronti atteggiamenti contraddittori: sono (cito il card. Sepe) «quelle più sensibili all’apertura all’altro, anche se nello stesso tempo hanno mostrato la più totale chiusura, fino alla violenza». Lo hanno provato ancora una volta le reazioni al progetto di costruire un decente campo residenziale per i Sinti di Mestre, cui si oppongono violentemente i leghisti. A un autorevole senatore loro simpatizzante si dovrebbe questa battuta: «Sono nomadi, o no? Perciò devono fermarsi nelle città solo per brevi periodi». Condannati, cioè, ad essere nomadi, senza possibilità di trovare lavori rispettabili, anche se aspirano solo ad integrarsi pacificamente in una città dove risiedono da decenni, essendo tra l’altro molti di loro, come una buona parte degli zingari oggi in Italia, cittadini italiani! Ma questo è impossibile se non si creano condizioni di vita accettabili, con la possibilità di mandare regolarmente a scuola i loro bambini, che così domani saranno rispettati cittadini, come hanno diritto di diventare. Parlando degli zingari, ammetto di avere anch’io, come ebreo, un pregiudizio (nel mio caso favorevole) nei loro confronti. Non posso dimenticare che nei lager nazisti, insieme con sei milioni di ebrei, furono sterminati anche centinaia di migliaia di zingari. Se gli zingari sono o furono nomadi, lo furono anche molti miei antenati per effetto delle persecuzioni subite in quanto «diversi». La cosa di cui non mi do ragione è che tanti italiani abbiano dimenticato le discriminazioni, le accuse di essere sporchi, ladri e criminali, di cui furono bersaglio tanti nostri compatrioti, costretti, tra l’Otto e il Novecento, a emigrare. (E non fu dapprincipio molto più favorevole l’accoglienza all’ondata di immigranti dal Sud nel dopoguerra, nel civilissimo Piemonte. Lo ricordate? Col tempo, i pregiudizi scomparvero e gli immigrati divennero bravi piemontesi, come tutti gli altri). Ora l’Italia è ricca, ed è diventata da terra d’emigranti terra d’immigrazione. Ma come possiamo dimenticare che anche noi fummo, almeno per un periodo, un poco zingari? Come non nutrire comprensione per coloro che lo sono ancora? Come non impegnarsi per favorire, e non ostacolare, un loro insediamento stabile, oltre che per loro, per i loro figli?

Ma questi due articoli del quotidiano torinese non sono che gocce di ragionevolezza nell’atmosfera di “senso comune” xenofobo che oramai si respira. Il silenzio dei media è assordante. Il “principio di parità di trattamento” è stato ignorato (“per principio di parità di trattamento si intende l’assenza di qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa della razza o dell’origine etnica”, D. Lgs. 215/2003, art. 2). La carta stampata e le televisioni si sono fatte partigiane di una campagna discriminatoria diretta. (per discriminazione diretta si intende “quando per la razza o l’origine etnica, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in situazione analoga”, ibid.).Tra i numerosi appelli, quello dei “Giornalisti contro il Razzismo” di maggio 2008, invita i media a una presa di posizione decisa:

I media rispettino il popolo Rom
Campagna contro il razzismo nei mezzi di informazione
Negli ultimi giorni abbiamo assistito a una forte campagna politica e d'informazione riguardante il tema dell'immigrazione. Siamo rimasti molto impressionati per i toni e i contenuti di molti servizi giornalistici, riguardanti specialmente il popolo rom. Troppo spesso nei titoli, negli articoli, nei servizi i rom in quanto tali - come popolo - sono stati indicati come pericolosi, violenti, legati alla criminalità, fonte di problemi per la nostra società.

Purtroppo l'enfasi e le distorsioni di questo ultimo periodo sono solo l'epilogo di un processo che va avanti da anni, con il mondo dell'informazione e la politica inclini a offrire un caprio espiatorio al malessere italiano.

Singoli episodi di cronaca nera sono stati enfatizzati e attribuiti a un intero popolo; vecchi e assurdi stereotipi sono stati riproposti senza alcuno spirito critico e senza un'analisi reale dei fatti. Il popolo rom è storicamente soggetto, in tutta Europa, a discriminazione ed emarginazione, e il nostro paese è stato più volte criticato dagli organismi internazionali per la sua incapacità di tutelare la minoranza rom e di garantire a tutti i diritti civili sanciti dalla Costituzione italiana, dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e dalla Dichiarazione universale dei diritti umani.

Siamo molto preoccupati, perché i mezzi di informazione rischiano di svolgere un ruolo attivo nel fomentare diffidenza e xenofobia sia verso i rom sia verso gli stranieri residenti nel nostro paese. Alcuni lo stanno già facendo, a volte con modalità inquietanti che evocano le prime pagine dei quotidiani italiani degli anni Trenta, quando si costruiva il "nemico" - ebrei, zingari, dissidenti - preparando il terreno culturale che ha permesso le leggi razziali del 1938 e l'uccisione di centinaia di migliaia di rom nei campi di sterminio nazisti.

Invitiamo i colleghi giornalisti allo scrupoloso rispetto delle regole deontologiche e alla massima attenzione affinché non si ripetano episodi di discriminazione. Chiediamo all'Ordine dei giornalisti di rivolgere un analogo invito a tutta la categoria. Ai cittadini ricordiamo l'opportunità di segnalare alle redazioni e all'Ordine dei giornalisti ogni caso di xenofobia, discriminazione, incitamento all'odio razziale riscontrato nei media.

In una manifestazione autoconvocata da rom e sinti, che si svolge a Roma l’8 giugno, a fianco a uno striscione che recita “Stop alla xenofobia”, se ne vede uno che accusa “L'informazione razzista”. Negli stessi giorni Everyone presenta una denuncia contro ignoti “per l'aggressione ai danni una rom di 16 anni incinta di sei mesi avvenuta su lungomare di Rimini […] Davanti a un bar è stata prima insultata da un uomo seduto a un tavolino e che poi si è alzato e le ha sferrato un calcio nella schiena. Una volta a terra - ha proseguito - la ragazza è stata presa a calci fra l'indifferenza della gente», ancora una volta fatto ignorato da giornali e televisioni. Il “marchio italiano” non fa notizia. Solo alcuni blog ne parlano.
Nell’estate si scatena il “dibattito” sulle impronte digitali ai rom, bambini compresi. Mentre la stampa estera condanna duramente gli “echi di inizio fascismo” da leggere nelle misure discriminatorie contro i rom (in particolare gli insospettabili, non certo “facinorosi”, “The Atlantic Monthly” e “The Times”), e il Paìs titola Censo de la vergüenza (Censimento della vergogna), tra i quotidiani nazionali rimbalza un sondaggio che conclude che “gli italiani sono gli europei più a disagio con i rom” (City-Torino, 2 luglio). Otto mesi dopo, la “politica dei sondaggi” colpisce ancora. E il “senso comune” sembra di nuovo comprensibile, tollerabile. Gli italiani ai quali “stanno antipatici” i rom sanno di essere in buona compagnia, addirittura campioni d’Europa. Il numero di Panorama del 10 luglio esce con la copertina Nati per rubare, un’inchiesta sui minori rom che Maroni vuole schedare. E il 22 luglio la foto delle ragazzine rom morte annegate nell’indifferenza (vera o presunta) dei bagnanti farà il giro del mondo.

Verona (estate – autunnuo ’08)

There is no world without Verona walls,
But purgatory, torture, hell itself.
(Non c'è mondo per me aldilà delle mura di Verona:
c'è solo purgatorio, c'è tortura, lo stesso inferno)
[William Shakespeare]


“La Repubblica” titola il 29 giugno: Cassazione, se i nomadi sono ladri è legittima la discriminazione. Sono rese pubbliche le motivazioni della sentenza con cui la Suprema corte ha annullato la condanna al leghista Tosi, attuale sindaco di Verona, all'epoca capogruppo locale del partito della lega Nord, il quale, insieme ad altri quattro leghisti era stato rinviato a giudizio dal pm veronese Guido Papalia per essere stato promotore di una petizione nella quale si chiedeva “lo sgombero immediato di tutti i campi nomadi abusivi e provvisori e che l'amministrazione non realizzi nessun nuovo insediamento nel territorio comunale”. “Repubblica” riporta la notizia:

"La discriminazione per l'altrui diversità è cosa diversa dalla discriminazione per l'altrui criminosità. In definitiva un soggetto può anche essere legittimamente discriminato per il suo comportamento ma non per la sua qualità di essere diverso". Questa la motivazione con cui lo scorso dicembre la Cassazione ha annullato con rinvio la condanna per "propaganda di idee discriminatorie" all'attuale sindaco di Verona, il leghista Fabio Tosi. [...]
In sostanza la Suprema corte sostiene che quando si tratta di "temi caldi come quello della sicurezza dei cittadini" bisogna fare attenzione a non accusare i politici di commettere incitamento all'odio razziale quando intendono prendere iniziative discriminatorie non in nome della diversità razziale ma a fronte dei "comportamenti criminali" di determinati gruppi.

Anche il TG1 si affretta a diffondere la notizia. Ce lo racconta Mao Valpiana (Centro Studi Sereno Regis) il 2 luglio:

Ancora una volta Verona è balzata agli onori (si fa per dire) della cronaca. Questa volta con due notizie pressoché in contemporanea: bambini rom schiavizzati per essere utilizzati nei furti in appartamento, e l’assoluzione da parte della Cassazione del Sindaco Tosi dall’accusa di razzismo.
Due notizie, date dal TG1, in coda alle polemiche sulla proposta di schedatura anche dei minori presenti nei campi rom.
Ma guarda che coincidenza…
Qui gatta ci cova. Partiamo dalla notizia dell’assoluzione del Sindaco Tosi.
Il lancio avviene domenica 29 giugno con una nota di agenzia delle 18.26. E subito nella mente di chi ha seguito questa complessa vicenda sorge spontanea la domanda: perché in una calda domenica di fine giugno, torna fuori un tema che la Cassazione aveva già messo nero su bianco il 13 dicembre del 2007, depositando poi le 15 pagine dell’atto nel successivo 28 marzo 2008? Proprio così. Le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione sono state depositate e rese pubbliche il 28 marzo 2008 ma il TG1 le comunica agli ascoltatori la sera del 29 giugno e dà subito la parola al Sindaco, che commenta: “Fu un atto di democrazia per ripristinare attraverso una raccolta di firme la legalità in città”. Ma in verità le cose non stanno così. La Corte di Cassazione non ha assolto Tosi (e anche uno studente del primo anno di Giurisprudenza sa che la Cassazione non assolve e non condanna, ma valuta solo la correttezza del procedimento). Ed infatti ha annullato solo in parte le motivazioni della condanna, rinviando ad un nuovo esame. La Corte di cassazione, al contrario, ha affermato che se si esamina il contenuto del manifesto leghista incriminato - “no ai campi nomadi. Firma anche tu per mandare via gli zingari” - appare palese la discriminazione degli zingari per il solo fatto di essere tali. La Corte si è limitata a disporre l’annullamento con rinvio a sezione diversa della corte d’appello che ha già fissato ad ottobre la prosecuzione del processo. Quindi non c’è alcun proscioglimento e Tosi è ancora un imputato e dovrà essere nuovamente processato dalla corte d’appello veneziana “per propaganda di idee fondate sulla superiorità e sull’odio razziale”. E’ evidente che quello del TG1 è un giornalismo ideologico che utilizza notizie vecchie e distorte per influire sull’opinione degli ascoltatori, che devono essere portati a dare un giudizio benevolo sull’iniziativa governativa di schedatura dei bambini rom.
E veniamo alla seconda notizia, sempre – guarda caso – proveniente da Verona. Si tratta della conclusione di un’indagine di polizia che smaschera l’utilizzo di bambini per furti negli appartamenti. L’indagine è stata illustrata in una conferenza stampa dal dirigente della Squadra Mobile di Verona. Si chiama “catene spezzate” e c’è da augurarsi che davvero la polizia abbia definitivamente spezzato il legame di quei ragazzini con i loro aguzzini e con la vita passata scappando da una casa di accoglienza all’altra (e Verona è coinvolta perché qui ha sede il Cerris, il miglior centro regionale di tutela e accoglienza dei minori). Ma la notizia giornalistica della escalation di furti in ville e appartamenti del nord est risale a gennaio 2008. Il TG1 (seguito poi da tutti i notiziari e dalle varie testate) la dà sei mesi dopo, e sempre in coda alle dichiarazioni di Maroni sulla necessità di prendere le impronte digitali ai minori.
Come possiamo difenderci e salvare il vero giornalismo da questi pennivendoli al servizio dei potenti di turno?

Una terza notizia sarà ignorata dai quotidiani nazionali e dalla televisione. Venerdì 5 settembre tre famiglie italiane di origine rom vengono sequestrate, picchiate e torturate dai carabinieri per delle ore. Il gravissimo episodio è riportato solo da “Repubblica”, undici giorni dopo: “Tre famiglie di nomadi italiani denunciano un brutale pestaggio da parte dei carabinieri; l' Arma - che ha arrestato cinque di loro per resistenza e tentata rapina - nega invece ogni abuso e riceve il sostegno del sindaco leghista di Verona Flavio Tosi”, comincia l’articolo di pagina 12, e prosegue con un racconto all’insegna dell’equidistanza e del condizionale, ipotizzando che il “pestaggio punitivo” abbia avuto una qualche ragione reale, ignorando il fatto che, anche se così fosse, il “pestaggio punitivo” non è previsto dalla nostra legislazione. Gli altri media nazionali – carta stampata e televisioni – ignorano l’accaduto, e così fa la stampa locale, eccezion fatta per l’Arena di Verona. Come al solito, solo alcune voci “fuori dal coro” riportano l’episodio: Everyone, Sucardrom e il settimanale “Carta” denunciano la “Bolzaneto veneta”. Tra le svariate centinaia di articoli che nei tra l’estate e l’autunno 2008 parlano di rom su “Corriere” e “La Stampa” sembra che non ci sia spazio per raccontare il terribile episodio che, sulla stampa “alternativa”, è persino documentato con foto che illustrano le violenze.
In ottobre il sindaco Tosi viene condannato per “Propaganda razzista contro i rom”. Un articolo di “Repubblica” (21 ottobre) riassume la vicenda, e termina così:

Tosi capeggiava il partito locale. Per tutta l' estate martellò l' opinione pubblica con una campagna anti-rom: «I nomadi devono essere allontanati dal territorio comunale con un' ordinanza definitiva». «I sinti devono lasciare la città, la Lega impedirà in modi legittimi, anche con forma di resistenza passiva, che in qualsiasi altra area del territorio cittadino si insedi un campo nomadi. Pagheremo loro il treno per Nogara, vadano là, qua non ci possono restare». «I nomadi dichiarano di vivere con la raccolta di ferro, ma è solo una copertura. Guarda caso laddove s' insediano i furti negli appartamenti aumentano, mandano i figli a rubare, però nessun tribunale dei minori toglie ai genitori la patria potestà quando questi bambini vengono presi in flagranza di reato. Via da Verona! Qui non ci possono stare perché non si integrano nella nostra società fatta di cittadini che pagano le tasse». Tosi al processo non smentì le frasi, ma disse che era una battaglia per il ripristino della legalità. Non era politica, sentenziano ora i giudici, ma razzismo.

Lo stesso razzismo che ha trovato troppo spazio sui media, istituzionali e non, dalle parole di Beppe Grillo al linciaggio mediatico successivo all’omicidio Reggiani, dalle notizie dei “rapimenti” raramente smentite al silenzio che ricopre le aggressioni contro i “nomadi”, dalla campagna discriminatoria quotidiana della freepress e di giornali come “La Padania” alle televisioni e alle migliaia di blog, che, in maniera incontrollabile, diffondono una sottocultura razzista che non si nutre di informazioni, ma di pregiudizi. Il codice deontologico dei giornalisti recita, all’articolo 5. (Diritto all'informazione e dati personali):

Nel raccogliere dati personali atti a rivelare origine razziale ed etnica, convinzioni religiose, filosofiche o di altro genere, opinioni politiche, adesioni a partiti, sindacati, associazioni o organizzazioni a carattere religioso, filosofico, politico o sindacale, nonché dati atti a rivelare le condizioni di salute e la sfera sessuale, il giornalista garantisce il diritto all'informazione su fatti di interesse pubblico, nel rispetto dell'essenzialità dell'informazione, evitando riferimenti a congiunti o ad altri soggetti non interessati ai fatti.

In maniera simile, l’articolo 9 (Tutela del diritto alla non discriminazione) dice: “Nell'esercitare il diritto-dovere di cronaca, il giornalista è tenuto a rispettare il diritto della persona alla non discriminazione per razza, religione, opinioni politiche, sesso, condizioni personali, fisiche o mentali”. Negli ultimi quattordici mesi i media sono venuti meno al loro stesso codice, fomentando così una vera e propria persecuzione, che hanno chiamato “rivolta”, “rappresaglia”, creando pericolosi pregiudizi attraverso il loro “giornalismo ideologico”.

L’emergenza razzismo (autunno – inverno ’08)

Il 15 ottobre 2008, il Giornale sforna il titolo: Il razzismo c’è. Sulla carta. L’articolo recita così:

Due rom hanno tentato di rapire una bambina: era il 20 maggio scorso e la notizia ve la ricorderete. Scrisse la Repubblica: «Una coppia di rom è stata arrestata dalla polizia per avere tentato di rapire una bambina di tre anni». Scrisse il Corriere della Sera: «Hanno cercato di strappargliela mentre era intenta a caricare in macchina i sacchetti della spesa». Titolò il Giornale: «Rom tenta di rapire bimba strappandola alla mamma». Notare i verbi all’indicativo. La Stampa fu ancora più tassativa: «Che si tratti di un tentativo di rapimento non c’è dubbio». Non c’è dubbio.
Bene: non era vero. I due nomadi, accusati di questo crimine orrendo, sono stati processati per direttissima e infine prosciolti qualche giorno fa. Si chiamano Viorica Zavache e Sebastian Neculau, e se non ne sapete niente siete scusati: nessun giornale ha scritto una sola riga circa la loro assoluzione. La notizia è reperibile solo su qualche sito internet. I due rom frattanto sono stati in galera per quattro mesi. Quattro. Mesi. E la domanda non è nuova: perché i giornali non hanno scritto nulla della loro assoluzione? La notizia può essere sfuggita: il Giornale rimedia oggi, in prima pagina. Gli altri? Ecco, tra gli altri non manca chi ha sostenuto che in Italia serpeggerebbe un nuovo razzismo. Il loro come si chiama?

La denuncia de “Il Giornale” è molto interessante, soprattutto se si considera che è mossa da un quotidiano che non esita a titolare Quei rom ladri di bambini preventivamente. Sugli oltre 8 mila risultati che dà la ricerca sul sito del quotidiano per la parola “rom”, sono tanti quelli che alludono all’intrinseca natura criminale dei rom.
A fine ottobre John Foot scrive su “Internazionale” un articolo dal titolo Ladri di verità (Un giornalismo pigro, cattivo e irresponsabile aumenta le paure infondate delle persone):

Nel maggio del 2008 sulla Repubblica è apparso questo titolo: "Catania, arrestati due rom: 'Hanno tentato di rapire mia iglia"'. Secondo l'articolo, tuttora disponibile sul sito del giornale, "una coppia di rom" era stata "arrestata dalla polizia per aver tentato di rapire una bambina di tre anni nel centro commerciale Auchan di San Giuseppe La Rena a Catania".
L'articolo forniva una serie di particolari su quel "tentato rapimento". Era una vicenda sconvolgente: cosa c'è di peggio di un sequestro di bambini in un luogo pubblico? Per qualsiasi genitore è il peggiore degli incubi. Dopo quegli arresti molti rom sono stati cacciati da Catania. Poco tempo prima, vicino a Napoli, alcune persone avevano dato fuoco a un campo rom dopo un fatto analogo.
C'è solo un piccolo problema: la storia non era vera. I giovani "rom" (che tra l'altro avevano un nome e un cognome: Viorica Zavache e Sebastian Neculau) sono stati prosciolti dal tribunale in settembre, dopo aver passato quattro mesi in carcere senza aver commesso nessun crimine. L'avvocato difensore di Zavache e di Neculau ha spiegato il loro arresto con il clima di intolleranza del tempo. Da allora la situazione non è migliorata. E ci sono forti dubbi anche sul caso di Napoli, che aveva portato all'incendio del campo rom.
Stranamente l'unico quotidiano a dare il giusto spazio alla cosa è stato il Giornale, di proprietà della famiglia Berlusconi, che ha pubblicato la notizia del proscioglimento in prima pagina. Le voci che puntano a creare un clima di panico nei confronti degli "zingari che rubano i bambini" circolavano già da anni. Fanno parte di un mito xenofobo, di uno stereotipo che si può mettere sullo stesso piano di tanti altri, che riguardano gli ebrei o altri gruppi etnici o perino "i comunisti".
Durante l'ultima campagna elettorale, per esempio, Silvio Berlusconi ha detto seriamente che sotto Mao i cinesi "facevano bollire" i bambini "per concimare i campi". Gli insegnamenti che si possono trarre da questa vicenda sono tanti e importanti, e hanno a che fare con il giornalismo, con la paura e con la verità. Il giornalismo e l'etica. I giornalisti hanno il dovere morale e professionale di raccontare quello che succede nel mondo. Ma tutti sono innocenti inché la loro colpevolezza non è dimostrata da un tribunale. Salvo che in Italia.
Ho sempre trovato incredibile il modo in cui tanti giornalisti italiani accusano di reati persone innocenti. In questo caso, per esempio, un giornalista di Repubblica ha preso una notizia dell'Ansa e l'ha riscritta (cosa che capita troppo spesso). Nel testo di partenza i "rom" erano "accusati" del reato. Per Repubblica l'avevano commesso. Accuse ipotetiche erano diventate fatti.
È un giornalismo non solo pigro e cattivo, ma anche irresponsabile. Quella "notizia" diffusa dalla stampa e da altri mezzi d'informazione ha direttamente provocato delle violenze e ha contribuito a esasperare un clima già pesante. I giornalisti dovrebbero sempre lasciare un margine di dubbio prima di informarsi meglio.
In Gran Bretagna non sarebbe mai stato celebrato un processo come quello ai due giovani. Se la stampa britannica avesse riferito quegli eventi così come ha fatto la Repubblica, il processo sarebbe stato annullato perché in quelle condizioni nessun giudice o giuria avrebbe potuto essere "obiettivo". Tutti i giornalisti dovrebbero adottare un atteggiamento cauto e scrupoloso, ma succede spesso il contrario: viene spontaneo attizzare il fuoco, esasperare le tensioni, esagerare i timori.
Una prova di serio giornalismo investigativo su questa vicenda, invece, è stata data da un gruppo di studenti dell'università di Catania, che pubblicano i loro articoli sul sito Step1.it. Gli studenti di giornalismo hanno fatto il lavoro che avrebbero dovuto fare i loro colleghi più anziani e più esperti. La paura. Abbiamo spesso paura degli altri, di chi non è come noi, di chi è povero, di chi vive ai margini della società, di chi ha un aspetto diverso.
E la paura è un sentimento potente, forse il più potente di tutti. La paura conduce alla discriminazione, alla violenza, al desiderio di esclusione, a una "domanda di sicurezza". Inoltre la paura sposta voti. Come quello della vecchietta americana spaventata, che tutta tremante ha detto a John McCain che non si idava di Barack Obama "perché è un arabo". La paura crea illusioni, ti fa vedere cose che non esistono. E così va a finire che due giovani "rom" in un supermercato diventano potenziali rapitori di bambini.
La verità. Nel maggio del 2008 molti lettori di giornali italiani - di sinistra e di destra - leggono che in un supermercato di Catania "un rom ha tentato di sollevare la bambina dal carrello della spesa con l'aiuto di un uomo, anche lui rumeno". Passano quattro mesi e i due vengono prosciolti. Le notizie pubblicate dal giornale erano false.
Ma quei lettori oggi sanno la verità? Quasi certamente no. Il danno ormai è fatto. È troppo tardi. Nella società dello spettacolo in cui viviamo non contano più i fatti, conta chi strilla di più, anche se mente o si inventa le cose. Come ha scritto una volta Guy Debord, "nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso".

Il danno è fatto. A novembre “Il Corriere della Sera Magazine” esce con il titolo Razzismo 2008, dove si punta il dito contro “l’Italia spaventata di oggi”. Come se lo spavento venisse dal nulla, e non dalla “politica della paura”, della quale sono responsabili tanto i politici quanto la carta stampata e le televisioni. “Per l’85% degli italiani non un immigrato in più, il 51% pensa che abbiano già abbastanza diritti: fotografia di un paese in cui il disagio-stranieri sta diventando intolleranza e violenza”, scrive ancora una volta il Corrier, confermando il suo vizietto dei sondaggi. L’articolo Emergenza o no? Razzismo che introduce lo speciale termina così:

E pensare che proprio un finto rapimento, l’accusa senza prove nei confronti di una nomade 16enne, innescò due mesi fa il pogrom di Ponticelli: l’assalto impunito al campo rom e il via libera a quella serie di aggressioni a sfondo razziale, contro tutti i colori del «nero» – anche contro ragazzi cinesi, albanesi, romeni – che ha scandito questo autunno italiano al grido di «Ve ne dovete andare». Più o meno quello che ha risposto al sondaggio, all’alba di Obama, l’Italia di oggi.

Sempre alla ricerca di un’emergenza, della “bomba”, questa volta l’emergenza è stata creata veramente. Sembra che i media nazionali si siano accorti del danno che hanno fatto. Ma è davvero così? O è ancora una volta “la politica dell’allarme continuo”? Oppure è semplicemente la vecchia storiella della rana che si accorge troppo tardi di essere nella pentola? Le voci “fuori dal coro” continuano, instancabili, a diffondere le vere notizie. A Natale Everyone diffonde un comunicato che illustra i propositi di fine anno dell’Unione Europea:

Bruxelles, 23 dicembre 2008. Dopo il dibattito tenutosi il 3 dicembre nell'Aula del Parlamento europeo, sulla base delle dichiarazioni del Consiglio e della Commissione, l'Unione europea ribadisce, nei programmi di fine anno, l'intenzione di rendere efficienti, monitorandone i risultati, le nuove politiche europee volte a combattere la discriminazione e la repressione del popolo Rom negli Stati membri. Come sollecitato dal Gruppo EveryOne, che ha presentato dossier, documenti e studi sulla condizione dei Rom in Italia, è necessario apportare fin dall'inizio del 2009 modifiche sostanziali al fine di rendere realmente efficiente la strategia europea sui Rom, per opporre una diga alla discriminazione, alla propaganda politico-mediatica di stampo razzista, al mancato rispetto delle Direttive e delle Risoluzioni che tutelano i diritti fondamentali dei Rom nell'Unione e alle azioni di purga etnica che sono ancora effettuate, con particolare accanimento proprio in Italia, e mascherate da operazioni di polizia per la "sicurezza" e il "decoro urbano".

Nell’opinione pubblica le minoranze Rom e Sinte sono di nuovo gli “zingari”, gli “intoccabili”. Sono i monumenti moderni della segregazione, trattati dalla politica, dai giornali e dalle televisioni, come rifiuti umani. I media indietreggiano, dopo aver dato dignità ai roghi, alle accuse infondate e alla furia xenofoba, ma che credibilità hanno? La loro complicità con il potere non finirà certo in questo rigurgito di consapevolezza. In un paese che nel 2008 è al quarantaquattresimo posto nel ranking della libertà d’informazione di Reporters sans frontières, che attendibilità ha la sua stampa? Forse è anch’essa da relegare tra i rifiuti, forse non rappresenta nient’altro che un’elite troppo interessata a salvaguardare i suoi interessi per rendersi conto dell’impatto spaventoso che le sue crociate hanno sulla realtà.
A fine anno Nicolae Romulus Mailat viene condannato a 29 anni di reclusione. Sono molte le polemiche: non gli è stato dato l’ergastolo a causa delle attenuanti: era ubriaco e la “fiera resistenza” della donna può aver peggiorato le cose. Eppure la notizia sembra non avere più molta importanza. Quale sarà la prossima “bomba”? I lettori e i telespettatori hanno bisogno di nuovi mostri da cacciare, di accampamenti nemici da bruciare.

39 Bambini Rom ad Auschwitz

la Verità di Cristallo

giovedì 1 gennaio 2009

La morale dei cacciabombardieri

27 dicembre 2008

Lettera da Ramallah di Mustafah Barghouti*

E leggerò domani, sui vostri giornali, che a Gaza è finita la tregua. Non era un assedio dunque, ma una forma di pace, quel campo di concentramento falciato dalla fame e dalla sete. E da cosa dipende la differenza tra la pace e la guerra? Dalla ragioneria dei morti? E i bambini consumati dalla malnutrizione, a quale conto si addebitano? Muore di guerra o di pace, chi muore perché manca l'elettricità in sala operatoria? Si chiama pace quando mancano i missili - ma come si chiama, quando manca tutto il resto?

E leggerò sui vostri giornali, domani, che tutto questo è solo un attacco preventivo, solo legittimo, inviolabile diritto di autodifesa. La quarta potenza militare al mondo, i suoi muscoli nucleari contro razzi di latta, e cartapesta e disperazione. E mi sarà precisato naturalmente, che no, questo non è un attacco contro i civili - e d'altra parte, ma come potrebbe mai esserlo, se tre uomini che chiacchierano di Palestina, qui all'angolo della strada, sono per le leggi israeliane un nucleo di resistenza, e dunque un gruppo illegale, una forza combattente? - se nei documenti ufficiali siamo marchiati come entità nemica, e senza più il minimo argine etico, il cancro di Israele? Se l'obiettivo è sradicare Hamas - tutto questo rafforza Hamas. Arrivate a bordo dei caccia a esportare la retorica della democrazia, a bordo dei caccia tornate poi a strangolare l'esercizio della democrazia - ma quale altra opzione rimane? Non lasciate che vi esploda addosso improvvisa.

Non è il fondamentalismo, a essere bombardato in questo momento, ma tutto quello che qui si oppone al fondamentalismo. Tutto quello che a questa ferocia indistinta non restituisce gratuito un odio uguale e contrario, ma una parola scalza di dialogo, la lucidità di ragionare, il coraggio di disertare - non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altra Palestina, terza e diversa, mentre schiva missili stretta tra la complicità di Fatah e la miopia di Hamas. Stava per assassinarmi per autodifesa, ho dovuto assassinarlo per autodifesa - la racconteranno così, un giorno i sopravvissuti.

E leggerò sui vostri giornali, domani, che è impossibile qualsiasi processo di pace, gli israeliani, purtroppo, non hanno qualcuno con cui parlare. E effettivamente - e ma come potrebbero mai averlo, trincerati dietro otto metri di cemento di Muro? E soprattutto - perché mai dovrebbero averlo, se la Road Map è solo l'ennesima arma di distrazione di massa per l'opinione pubblica internazionale? Quattro pagine in cui a noi per esempio, si chiede di fermare gli attacchi terroristici, e in cambio, si dice, Israele non intraprenderà alcuna azione che possa minare la fiducia tra le parti, come - testuale - gli attacchi contro i civili. Assassinare civili non mina la fiducia, mina il diritto, è un crimine di guerra non una questione di cortesia. E se Annapolis è un processo di pace, mentre l'unica mappa che procede sono qui intanto le terre confiscate, gli ulivi spianati le case demolite, gli insediamenti allargati - perché allora non è processo di pace la proposta saudita? La
fine dell'occupazione, in cambio del riconoscimento da parte di tutti gli stati arabi. Possiamo avere se non altro un segno di reazione? Qualcuno, lì, per caso ascolta, dall'altro lato del Muro?

Ma sto qui a raccontarvi vento. Perché leggerò solo un rigo domani, sui vostri giornali e solo domani, poi leggerò solo, ancora, l'indifferenza. Ed è solo questo che sento, mentre gli F16 sorvolano la mia solitudine, verso centinaia di danni collaterali che io conosco nome a nome, vita a vita - solo una vertigine di infinito abbandono e smarrimento. Europei, americani e anche gli arabi - perché dove è finita la sovranità egiziana, al varco di Rafah, la morale egiziana, al sigillo di Rafah? - siamo semplicemente soli.

Sfilate qui, delegazione dopo delegazione - e parlando, avrebbe detto Garcia Lorca, le parole restano nell'aria, come sugheri sull'acqua. Offrite aiuti umanitari, ma non siamo mendicanti, vogliamo dignità libertà, frontiere aperte, non chiediamo favori, rivendichiamo diritti. E invece arrivate, indignati e partecipi, domandate cosa potete fare per noi. Una scuola?, una clinica forse? delle borse di studio? E tentiamo ogni volta di convincervi - no, non la generosa solidarietà, insegnava Bobbio, solo la severa giustizia - sanzioni, sanzioni contro Israele. Ma rispondete - e neutrali ogni volta, e dunque partecipi dello squilibrio, partigiani dei vincitori - no, sarebbe antisemita.

Ma chi è più antisemita, chi ha viziato Israele passo a passo per sessant'anni, fino a sfigurarlo nel paese più pericoloso al mondo per gli ebrei, o chi lo avverte che un Muro marca un ghetto da entrambi i lati? Rileggere Hannah Arendt è forse antisemita, oggi che siamo noi palestinesi la sua schiuma della terra, è antisemita tornare a illuminare le sue pagine sul potere e la violenza, sull'ultima razza soggetta al colonialismo britannico, che sarebbero stati infine gli inglesi stessi? No, non è antisemitismo, ma l'esatto opposto, sostenere i tanti israeliani che tentano di scampare a una nakbah chiamata sionismo. Perché non è un attacco contro il terrorismo, questo, ma contro l'altro Israele, terzo e diverso, mentre schiva il pensiero unico stretto tra la complicità della sinistra e la miopia della destra.

So quello che leggerò, domani, sui vostri giornali. Ma nessuna autodifesa, nessuna esigenza di sicurezza. Tutto questo si chiama solo apartheid - e genocidio. Perché non importa che le politiche israeliane, tecnicamente, calzino oppure no al millimetro le definizioni delicatamente cesellate dal diritto internazionale, il suo aristocratico formalismo, la sua pretesa oggettività non sono che l'ennesimo collateralismo, qui, che asseconda e moltiplica la forza dei vincitori. La benzina di questi aerei è la vostra neutralità, è il vostro silenzio, il suono di queste esplosioni. Qualcuno si sentì berlinese, davanti a un altro Muro. Quanti altri morti, per sentirvi cittadini di Gaza?

*una delle figure più importanti dello scenario palestinese, medico, attivista della società civile e della politica, attivista resistente nonviolento, fondatore del Palestinian Medical Relief e della Palestinian National Initiative.

Ha collaborato con lui Francesca Borri, giovane e bravissima scrittrice italiana, pacifista e nonviolenta.