venerdì 29 febbraio 2008

La terra promessa

Vorrei invitare i lettori del blog a una riflessione sui due programmi.

Lungi da me credere che il Partito Democratico sia la risoluzione di tutti i nostri problemi, eppure ritengo che sia necessario anche essere in grado di chiamare le cose con il loro nome. Chiaramente, come sottolineato dalla Sinistra Arcobaleno e dalle frasi di Berlusconi che ci ricordano tanto la nostra infanzia: (“MA MI COPIAAAAAAAA”), ci sono notevoli somiglianze tra i due programmi. Io però vorrei soffermarmi sulle differenze.

Il PD si propone di controllare la spesa pubblica, la spesa primaria corrente è aumentata negli anni di governo della destra, mentre il governo Prodi ha risanato i conti pubblici, come ha dichiarato oggi Almunia, commissario Ue degli Affari economici. “Spendere meglio, spendere meno” dunque. Berlusconi, invece, sostiene di avere «consapevolezza della situazione difficile, italiana e internazionale. Speriamo - aggiunge - che non peggiori sotto l'influsso dell'economia americana. Appena avremo responsabilità di governo vedremo qual è lo stato conti pubblici, anche perché si è parlato di un tesoretto che non esiste». Speriamo??? Tutti gli analisti concordano sul fatto che l’influsso dell’economia americana non è un venticello passeggero ma qualcosa di molto più serio. “Appena avremo responsabilità di governo”? Una sensazione di déjà vu mi stritola le budella, mi ricordo della corsa al voto, nessun governo tecnico per cambiare la legge elettorale definita “porcata” dal suo creatore, e ancora: “alla fine della campagna elettorale farò ancora il contratto con gli italiani”, ha ripetuto oggi Berlusconi. Stiamo parlando di programmi elettorali o di “specchietti per le allodole”, per citare lo stesso Cavaliere, per strappare qualche voto ingenuo e arrivare facilmente al potere?

“Il pagare meno, pagare tutti” del PD, ridurre le tasse ai lavoratori dipendenti e autonomi che pagano troppo, non ha niente a che vedere con la riduzione della pressione fiscale attraverso «l'abolizione immediata dell'Ici sulla prima casa, premi e incentivi legati agli incrementi della produttività, una graduale detassazione delle tredicesime e degli straordinari» prevista da Berlusconi. Non sapevo che l’Italia avesse vinto una lotteria. Berlusconi, come il suo collega Rajoy sta facendo in Spagna, fa leva su uno scontento della classe media visualizzabile in una sola parola: tasse. Un amico mi ha recentemente mosso un’obiezione: “Ma il PDL abbasserà le tasse, dunque io lo voto”. E abolirà l’ICI, aggiungo io. Allora fai bene a votarlo. Quasi quasi lo voto anch’io, dai.

Berlusconi promette una detassazione senza precedenti, dopo aver già sostenuto che la lotta all’evasione fiscale frena i consumi. Saremo tutti esentati dalle tasse, prima o poi? E chi pagherà la sanità, l’istruzione, i servizi? Berlusconi non parla di ridurre i costi della politica, di alleggerire il sistema burocratico, di ridurre gli sprechi, non fa altro che promettere riduzioni, immemore del fatto che l’ultimo quinquennio che gli italiani gli hanno affidato ha creato quasi sette milioni di nuovi poveri.

Andiamo avanti: il nono punto del PD è «la lotta alla precarietà, la qualità del lavoro e la sua sicurezza». Per Veltroni «la sicurezza sul lavoro è un diritto fondamentale della persona umana, che non può essere comprato e venduto a nessun prezzo». E questo immagino valga per tutti gli italiani, 1000 morti all’anno sul lavoro sono un insulto a una società industriale, sono un insulto ai valori dei quali andiamo fieri e che ci permettiamo di voler esportare. Quanto ai giovani precari, il PD propone una retribuzione minima di 1.000 euro mensili.
Il PDL, dal canto suo. prevede «un periodo di no tax assoluto per giovani che iniziano nuove attività imprenditoriali», lasciando nel silenzio la grande problematica del mercato del lavoro. Non ho la presunzione di ritenere che gli imprenditori non abbiano diritti, anzi, e non mi sembra che il PD chiuda gli occhi dinnanzi alla categoria, come ha dimostrato la grande polemica scatenata da Bertinotti sulla candidatura di Matteo Colanino. Ma ignorare il problema della precarietà, della qualità del lavoro e della sicurezza è un peccato imperdonabile.

Sorvoliamo la solita frase a effetto di Berlusconi sul nucleare, che va a braccetto con l’abolizione dell’Ici: sono le esternazioni che rendono il Cavaliere un personaggio simpatico e gradevole persino ai suoi “nemici”.

Giustizia e legalità. Ricordando le parole di Napolitano, Veltroni dice «che da troppi anni c'è uno scontro nel Paese sulla giustizia e tra politica e magistratura. Proporremo norme innovative per la trasparenza delle nomine di competenza della politica. Nel nostro ordinamento inseriremo il principio della non candidabilità in Parlamento dei cittadini condannati per reati gravissimi connessi alla mafia, camorra e criminalità organizzata o per corruzione o concussione». Il Cavaliere si pronuncia invece per sostenere che «ci deve essere l’esclusione degli sconti di pena per chi è recidivo e chi ha commesso reati di particolare allarme sociale».
Ieri l’Italia dei Valori ha annunciato ufficialmente che nelle loro liste non ci saranno candidati condannati in via definitiva. La proposta del PD è sulla stessa linea. Bondi la settimana scorsa aveva dichiarato lo stesso per quanto riguarda la destra, ooops, scusate, il “centrodestra”, escludendo i processi di “chiara origine politica”, precisazione già di suo di difficile interpretazione.
Tra detassazione, nucleare e un’ondata di CPT, sembra che il “popolo delle libertà” si sia dimenticato che gli italiani sono stufi di vedere il loro paese spremuto da una mandria di delinquenti.

Se in pochi giorni il PDL si è dimenticato della sua mezza promessa, non vedo come possa mantenere la sua credibilità, anche solo di facciata, fino al 13 aprile.

Basta.

Il contratto con gli italiani. Si può fare?

Berlusconi ha presentato oggi le sue «sette missioni per rilanciare l'Italia». Gli italiani non devono aspettarsi «miracoli», sostiene il Cavaliere. Rilanciare lo sviluppo, sostenere la famiglia, maggiore sicurezza e giustizia, servizi ai cittadini, Sud, federalismo, piano straordinario di finanza pubblica, sono gli obiettivi del PDL. «Ma la nostra prima promessa - sostiene Berlusconi - è che non metteremo mai le mani nelle tasche degli italiani e che abbasseremo la pressione fiscale sotto il 40% del Pil».

Forse Berlusconi ha intenzione di mettere mano al suo portafoglio per finanziare le sue “sette missioni?” Il programma di Veltroni, sostiene il Cavaliere, è “in salsa statalista il programma storico della destra”. Vorrei innanzitutto sottolineare come lo stesso Berlusconi si autodefinisca “destra”, confermando le esternazioni recenti di Mastella, Casini e Veltroni.

«Riconquistare per l'Italia una posizione di primato nello sviluppo di qualità. Si può fare. Le risorse su cui far leva ci sono, dal nord al sud». Il Partito Democratico ha sottolineato, alla presentazione del suo programma, i «quattro problemi dell'Italia»: inefficienza economica, disuguaglianza, la poca libertà di perseguire il proprio disegno di vita e la scarsa qualità della democrazia. Ha inoltre presentato i suoi «dieci pilastri» per fare un'Italia «più nuova e più veloce», annunciati da Enrico Morando, estensore del programma del Partito democratico:
1) sicurezza «prima di tutto», 2) sviluppo "inclusivo", 3) concorrenza e merito, 4) welfare universalistico, 5) educazione come ascensore sociale, 6) spendere meglio e meno, 7) pagare meno, pagare tutti, 8) diritto dell'economia che liberi le energie vitali, 9) sostenibilità e qualità ambientale, 10) stato forte e sussidiarietà.

Berlusconi, dal canto suo, ha manifestato l’intenzione di rispolverare il «contratto con gli italiani» che firmò nel 2001 in tv da Bruno Vespa, «alla fine della campagna elettorale», inserendovi le «cose principali del programma. I disegni di legge sono già pronti: quelli sull'Ici, sulla detassazione degli straordinari e su tutti gli altri argomenti previsti nel programma».
Ma, avendo entrambi i programmi a disposizione, paragoniamoli.
PD: INFRASTRUTTURE - «Primo: modernizzare l'Italia. Significa scegliere come priorità le infrastrutture e la qualità ambientale - ha detto Veltroni - per colmare il ritardo che l'Italia ha accumulato. Diciamo no alla protesta Nimby e sì al coinvolgimento e alla consultazione dei cittadini. Sì agli impianti per produrre energia pulita, ai rigassificatori, ai termovalorizzatori e al completamento della Tav».
PDL: INFRASTRUTTURE - Per rilanciare lo sviluppo dell'economia italiana, il Popolo della libertà prevede «il rilancio e il rifinanziamento della legge obiettivo e delle grandi opere con priorità alle Pedemontane Lombarda e Veneta, al Ponte sullo Stretto di Messina e all'alta velocità ferroviaria e il coinvolgimento delle piccole e medie imprese di costruzione nella realizzazione delle grandi opere». Con la riapertura di tutti i cantieri accantonati durante il governo di centrosinistra, ha aggiunto Berlusconi, «possono immediatamente prodursi 300-350 mila posti di lavoro». Nelle 12 pagine di programma elettorale è previsto anche il rilancio del trasporto aereo «con la valorizzazione e lo sviluppo degli hub di Malpensa e Fiumicino» e la «partecipazione ai progetti europei di energia nucleare di ultima generazione» oltre a incentivi all'uso delle fonti rinnovabili. «Che rimangono - ha sottolineato l'ex premier - perché sono belle».
PD: SUD - Secondo punto programmatico «è il grande obiettivo di innovazione del Mezzogiorno, della sua crescita, che è la crescita dell'Italia». Veltroni dice no a una «politica che disperda fondi in una miriade di programmi, mentre diciamo sì a una drastica e veloce revisione dei programmi europei».
PDL: SUD - «Abbiamo previsto un piano straordinario per il potenziamento delle infrastrutture, la creazione di porti franchi, una legge obiettivo per i beni culturali», dice Berlusconi. A questo si aggiunge «il contrasto particolarissimo contro la criminalità organizzata, con un piano sicurezza per la legalità».
PD: SPESA PUBBLICA - Terzo obiettivo «il controllo della spesa pubblica». Negli anni di governo della destra - spiega Veltroni - è aumentata la spesa primaria corrente, «mentre il governo Prodi ha risanato e migliorato i conti pubblici. Per questo il nostro slogan è spendere meglio, spendere meno».
PDL: CONDIZIONI DI PARTENZA - Il Cavaliere sostiene di avere «consapevolezza della situazione difficile, italiana e internazionale. Speriamo- aggiunge - che non peggiori sotto l'influsso dell'economia americana. Appena avremo responsabilità di governo vedremo qual è lo stato dei conti pubblici, anche perché si è parlato di un tesoretto che non esiste».
PD: TASSE - Il quarto obiettivo del Pd «è fare quello che non è mai stato fatto: ridurre le tasse ai contribuenti leali, ai lavoratori dipendenti e autonomi che oggi pagano troppo». Un obiettivo che si traduce nello slogan: «Pagare meno, pagare tutti».
PDL: TASSE - Il Cavaliere punta molto sulla riduzione della pressione fiscale, attraverso «l'abolizione immediata dell'Ici sulla prima casa, premi e incentivi legati agli incrementi della produttività, una graduale detassazione delle tredicesime e degli straordinari». E poi, una novità «importante», secondo il Cavaliere, sarà il versamento dell'Iva posticipato al «reale incasso della fattura» e i rimborsi da 60 a 90 giorni. Inoltre Berlusconi promette di abbattere pastoie burocratiche e fiscali di ogni tipo. Iniziative che avranno i loro effetti anche a livello locale, dove le tasse, lamenta il leader del Pdl, sono aumentate quasi ovunque. In particolare, Berlusconi cita Roma dove «mi risulta, a quanto mi hanno detto, un aumento di 474 euro annui».
PD: DONNE - Quinto punto del programma «è investire più di quanto mai sia stato fatto sul lavoro delle donne». Perché «oggi in Italia ci sono tre patologie: bassi tassi di occupazione femminile, bassa natalità e alti tassi di povertà minorile. E noi vogliamo trasformare il capitale umano femminile in un asso per la partita dello sviluppo».
PDL: NESSUNA VELINA - E le liste? «Da lunedì - dice Berlusconi - cominceremo a parlare di candidature». Il leader del Pdl, rispetto alle indiscrezioni giornalistiche secondo cui al Circolo della Libertà andrebbero solo tre seggi, ribatte: «È una cosa folle, che non esiste. Anche perché di candidature cominceremo a parlare lunedì. Veline in lista? Non ce ne saranno. Ci sarà invece posto per molti giovani, e per l'altra parte del cielo, le donne, ci sarà spazio per il 30%. Le associazioni avranno adeguata rappresentanza».
PD: CASE IN AFFITTO - Al sesto punto programmatico c'è il problema della casa. Veltroni vuole aumentare le case in affitto e la «costruzione di circa 700 mila nuove case da mettere sul mercato a canoni compresi tra i 300 e i 500 euro».
PDL: CASA - Il leader del Pdl si impegna poi a varare «un grande piano di edilizia per i giovani e per il 13% delle famiglie non proprietarie di case». Si tratta, aggiunge, di un «impegno primario che assumiamo».
PD: DOTE FISCALE - Settimo obiettivo «è quello di invertire il trend demografico mediante l'istituzione di una dote fiscale: 2500 euro al primo figlio e aiuti per gli asili nido». Veltroni ha quindi rimarcato la necessità della lotta alla pedofilia, «il più orrendo dei crimini».
PDL: QUOZIENTE FAMILIARE - Come traguardo in 5 anni Berlusconi indica quello del «quoziente familiare: chi ha dei figli deve pagare meno tasse di chi non lo ha». Per la famiglia è prevista «l’introduzione del bonus bebè di 1.000 euro che noi avevamo introdotto e la sinistra ha cancellato».
PD: ISTRUZIONE - Ottavo posto nel programma del Pd è quello dell'università. «Cento nuovi campus universitari e scolastici entro il 2010 «perché la società dovrà contare sul talento e sul merito dei ragazzi italiani».
PDL: ISTRUZIONE - Berlusconi, affrontando il capitolo scuola del programma del Pdl, rilancia poi un cavallo di battaglia della campagna elettorale del 2001, ossia le tre i: inglese, Internet e impresa. L'ex premier sottolinea che questo è da considerarsi un obiettivo importante, «non era - osserva - solo un pallino di Tremonti».
PD: PRECARIETA' - Nono punto: «la lotta alla precarietà, la qualità del lavoro e la sua sicurezza». Per Veltroni «la sicurezza sul lavoro è un diritto fondamentale della persona umana, che non può essere comprato e venduto a nessun prezzo». Quanto ai giovani precari dovranno raggiungere il minimo di 1.000 euro mensili.
PDL: GIOVANI - Non solo. Il Pdl prevede «un periodo di no tax assoluto per giovani che iniziano nuove attività imprenditoriali». La misura, già prevista nel precedente programma elettorale, sarà affiancata da altre come quella che prevede «un bonus di locazione per le giovani coppie per creare le condizioni affinché mettano su famiglia il più presto possibile».
PD: SICUREZZA - Decimo obiettivo è quello della sicurezza «perché far sentire sicuri i cittadini è uno dei principali obiettivi del Pd». Il segretario del Pd vuole maggiori fondi per le forze dell'ordine e ribadisce la certezza della pena come uno dei cardini dell'azione di governo del centrosinistra.
PDL: SICUREZZA - Sul fronte immigrazione, «aumenteremo il numero dei Centri di permanenza temporanea per l'identificazione e l'espulsione degli extracomunitari clandestini». Una volta tornato al governo, spiega Berlusconi, il centrodestra «darà più risorse e mezzi alla polizia per far ritornare le città quelle che ora non sono più dopo che la sinistra ha spalancato le porte ai clandestini extracomunitari».
PD: GIUSTIZIA - Undicesimo punto è quello della giustizia e della legalità. Ricordando le parole di Napolitano, Veltroni dice «che da troppi anni c'è uno scontro nel Paese sulla giustizia e tra politica e magistratura. Proporremo norme innovative per la trasparenza delle nomine di competenza della politica. Nel nostro ordinamento inseriremo il principio della non candidabilità in Parlamento dei cittadini condannati per reati gravissimi connessi alla mafia, camorra e criminalità organizzata o per corruzione o concussione».
PDL: GIUSTIZIA - Secondo il Cavaliere, inoltre, «ci deve essere l’esclusione degli sconti di pena per chi è recidivo e chi ha commesso reati di particolare allarme sociale». E poi «inaspriremo le pene per i reati contro le donne e i minori»
PD: INNOVAZIONE - Ultimo e dodicesimo punto è quello dell'innovazione: «Vogliamo portare la banda larga in tutta l'Italia e garantire a tutti una tv di qualità». Il segretario del Pd dice che è necessario superare il duopolio tv «e correggere gli eccessi di concentrazione delle risorse economiche, accrescendo così il pluralismo e la libertà del sistema».
PDL: ENERGIA - Berlusconi affronta anche il nodo-energia. «Penso che non ci sia alternativa se non andare in maniera decisa e immediata nella direzione di nuove fonti energetiche nucleari per l'Italia» afferma. Per il Cavaliere si tratta di superare i ritardi accumulati in questi decenni dopo la «sciagurata decisione» degli anni '70 di dire no alla produzione di energia nucleare con il referendum.

Questi i due programmi, i dodici punti “per cambiare l’Italia” del PD e le dodici pagine del PDL. Premetto che in un paio di casi l’accostamento da me proposto può essere non “ortodosso”, ma questo non deve distogliere l’attenzione dal fatto che i due candidati premier stanno parlando di qualcosa di molto serio: il futuro del nostro paese. E, dobbiamo ricordarci, per citare l’antipolitica intelligente, che loro sono e saranno “i nostri dipendenti”.

giovedì 28 febbraio 2008

Debate historico

“¿Estamos mejor?”
Stiamo meglio?

Si apre così il vis à vis di lunedì tra, Rajoy e Zapatero, i due candidati alla presidenza spagnola si affrontano in un dibattito televisivo per la prima volta dopo quindici anni. In questa domanda si riassume l’approccio del candidato del centrodestra al dibattito. Nella sua genericità si nasconde la debolezza delle “proposte” contrapposte alla politica del governo Zapatero, e nella grande forza mediatica della domanda riposano le speranze del PP, in forte recupero nei sondaggi, di giocarsi la vittoria con i socialisti.

Rajoy si risponde così: “Se chiediamo a Zapatero risponderà di sì, ma la gente non sarà d’accordo”.
Nei novanta minuti di ping-pong che seguono, entrambi i candidati snocciolano cifre, sondaggi e statistiche per sottolineare la pertinenza delle loro affermazioni, e non mancano attacchi personali, colpi bassi, e interruzioni contro le “regole del gioco”. Sull’attendibilità delle cifre, oltretutto, sono state sollevate molte obiezioni: entrambi i candidati non hanno esitato a strumentalizzare e forzare grafici e numeri, atteggiamento considerato ormai del tutto normale in democrazia.

Tuttavia ha dell’incredibile l’attacco a testa bassa di Rajoy alla politica economica e sociale del governo Zapatero. Il leader del PSOE ricorda prontamente al rivale di avere addirittura superato le richieste di crescita economica e di posti di lavoro fatte al governo dal PP a inizio mandato (Rajoy chiese una crescita del 3% annuale e 2 milioni di posti di lavoro, Zapatero rispose con una crescita del 3,5% e 3 milioni e mezzo di posti di lavoro). Zapatero sottolinea inoltre seccamente: “Non hai mai fatto opposizione sulla nostra politica economica, ma solo sull’Eta”. Rajoy non si farà scrupoli nell’accusare il governo di centrosinistra per l’aumento dei prezzi di alcuni beni dovuto al mercato internazionale, e dunque alla recessione mondiale. La feroce critica diventa controproducente nella tattica di Rajoy anche quando si addentra nelle questioni sociali. Ciò nonostante non sono tanto i contenuti a essere da sottolineare, quanto, a mio parere il linguaggio usato dai due contendenti.

Un rapido accenno alla prossemica e al linguaggio del corpo. Gli appunti e le statistiche sono per Rajoy indispensabili: per quanto abbia ben preparato lo scontro elettorale, sembra sempre aggrapparsi a cifre scovate, a sensazionalistici titoli di giornale, a curve statistiche che scendono a picco, per attaccare il suo rivale. Ben conscio del fatto che il terrorismo basco è sempre una carta da giocare. Rajoy siede rigido, gli occhi un po’ persi, le mani sempre a cercare tra i suoi appunti.
Zapatero, diversamente, guarda molto raramente tra i suoi fogli. E quando lo fa è quasi esclusivamente per rispondere alle accuse dell’avversario. Il suo sguardo non evita di fissare il suo interlocutore, la sua voce è sicura, e quando risponde a Rajoy si sporge sul tavolo che li separa, quasi lo volesse schiacciare con le sue parole. È questa una differenza che si nota fin dalle prime battute del dibattito. Sulle scelte lessicali (e connessi significati) le diversità tra i due candidati sono rilevabili senza difficoltà.

L’omogeneità degli interventi di Rajoy si scova infatti nella forma più che nei contenuti.
Praticamente in ogni suo intervento, il leader del PP si aggrappa a una terminologia confusa e demagogica, di grande impatto. Dopo l’ouverture già citata, lancia il dibattito estraendo dal cilindro “chi non arriva a fine mese”, immigrazione e sicurezza (oltre che l’immancabile lotta al terrorismo), e criticando duramente la “allianza des civilisationes” promossa dal PSOE, mettendosi così implicitamente in linea con la percezione del fenomeno migratorio e della globalizzazione come “clash of civilisations” (Huntington), una visione della realtà che necessita la demonizzazione dell’ “altro”, dunque l’intolleranza. Con tristezza mi tornano in mente le parole di Kofi Annan di un anno fa.
Il tentativo di delegittimazione delle politiche del governo Zapatero da parte di Rajoy si appoggia a uno spudorato utilizzo di sondaggi, al riferimento costante al “rincaro dei prezzi” (benché smentito a più riprese dal suo rivale), e più di una volta arriva a chiedere maggior giustizia sociale. Le parole “ordine e controllo” non mancano dal vocabolario del leader del PP, affiancate dall’“idea di Spagna”, concetto utilizzato più di una volta, che non viene specificato ma che ricorda gli appelli di Francisco Franco alla vigilia della guerra civile. Impossibile non notare, oltretutto, le grandi affinità con il linguaggio del PDL nostrano, in particolar modo il continuo riferimento allo “scontento popolare”, sulla base di sondaggi di dubbia provenienza, spesso su campioni di poche migliaia di cittadini, che rischiano di provocare una reazione a catena nelle intenzioni di voto: la “profezia che si autoavvera” mertoniana.

Nel vocabolario di Zapatero i termini più carichi di significato sono, a mio parere, “distribuire la ricchezza”, “politica sociale”, e “diritti”, ma, a differenza delle critiche dell’avversario, trovano concretezza nelle leggi e nelle misure applicate dal governo di centrosinistra. Zapatero, se attaccato, ricorda con serenità agli spagnoli l’enorme crescita economica, il tasso di disoccupazione ridotto ai minimi storici, i passi avanti sui diritti delle donne, la legge della “dependencia”, una parziale regolarizzazione dell’immigrazione irregolare, gli incentivi alle nascite, lo sviluppo della ricerca e della cultura, tutto questo senza nascondere il fatto che su altri temi, in primis la gestione del problema Eta, il suo governo non abbia saputo prendere la strada giusta. Ma non è tanto nel linguaggio, né nell’indubbia posizione di vantaggio di Zapatero, che si trova, a mio parere, il nocciolo della questione.

È l’appassionata critica allo spirito antidemocratico di Rajoy (e di ciò che rappresenta) a dare forza alle ragioni di Zapatero. Da italiano è facile credere che faccia parte delle regole della democrazia, eppure il leader del PSOE si scalda, gli occhi fissi sull’interlocutore, il volto leggermente arrossato, per dire: “siete l’unica opposizione del mondo sviluppato a non essere mai d’accordo”.
Quando Zapatero elenca a Rajoy le leggi non appoggiate dal PP incalzandolo (“non avete mosso un dito affinché gli spagnoli avessero più diritti”), quando incredulo ricorda al suo interlocutore che non bisogna strumentalizzare il terrorismo, e sottolinea a gran forza come la difficoltà di gestione del fenomeno basco dovrebbe essere affrontato da governo e opposizione insieme, quando ricorda le imbarazzanti esternazioni di disprezzo Rajoy sugli intellettuali e sulla ricerca universitaria, non sembra di vedere un candidato alla presidenza che getta acqua al suo mulino, quanto un convinto sostenitore della democrazia che cerca di arginare il desiderio di potere del suo rivale, il quale non esita a far ricorso ad ogni stratagemma e a una terminologia ipocrita pur di strappare qualche elettore al suo avversario.

Tutto questo è, a mio parere, confermato dagli interventi conclusivi, slegati dal dibattito perché ben pianificati, e illustrati con lo sguardo fisso negli occhi dello spettatore-elettore.

Rajoy sostiene di non volere il voto per sé ma per la Spagna intera, per ogni bambina che nasce, e ha diritto a una casa, a un padre con un lavoro, sostiene di volere il voto per i diritti umani, per la tolleranza e per la libertà. Facili populismi. Tolleranza verso chi? Libertà o libero mercato? Subito prima di parlare di competitività, Rajoy ha sostenuto che gli spagnoli devono essere “liberi e uguali”. Difficile non notare come le parole d’ordine utilizzate a effetto dal leader del PP arrivino da ogni campo semantico, da ogni esperienza politica, difficile non rendersi conto dell’incongruenza di fondo davanti all’utilizzazione sistematica di termini come “ordine e controllo” e “tolleranza e libertà”. Il populismo demagogico del leader del centrodestra lascia allibiti.

Zapatero conclude ricordando la crescita, chiedendo altri 4 anni per il pieno impiego, maggiori diritti, salari, lotta al riscaldamento globale, miglioramento di infrastrutture e comunicazioni. Termina il suo discorso parlando di pari opportunità.

Nella memoria collettiva spagnola, la ferita della guerra civile e del regime franchista è ancora aperta. La Spagna è ancora spaccata in due. I due candidati rappresentano questa spaccatura. Qual è la differenza tra Rajoy e Zapatero?
Il primo finge di prendere la parola negli interessi di tutti gli spagnoli, non facendosi scrupoli di sorta a parlare di giustizia sociale, di tolleranza, di libertà, di “chi non arriva a fine mese”, della “gente”. Lo fa in maniera strumentale, lo può fare perché questo è permesso in una democrazia, lo fa per strappare voti all’avversario. Ma, da che mondo è mondo, se Rajoy dovesse vincere sarebbe proprio chi “non arriva a fine mese” a stare peggio. Da che mondo e mondo, con un governo di centrodestra le disparità non diminuiscono ma aumentano, la “tolleranza” lascia spazio all’intolleranza, i “diritti” delle minoranze vengono accantonati.
La politica di Zapatero, invece, punta a un equilibrio, alla smussatura delle ineguaglianze, a uno stato sociale forte, a una sanità adeguata, a un controllo dell’immigrazione memore della grande ondata emigratoria iberica e cosciente dei diritti individuali e universali,
Visto il recupero del centrodestra nei recenti sondaggi, e l’effetto a catena che questo può provocare, non è da escludere una vittoria di Rajoy.

La tristezza che mi prende quando penso a questa eventualità mi ricorda le ultime parole di Miguel de Unamuno, rettore dell’Università di Salamanca, poco prima di lasciare la sua città in mano ai militari franchisti che controllavano ormai gran parte della penisola iberica:

“Voi vincerete ma non convincerete perchè per convincere bisognerebbe che voi persuadeste e per persuadere dovreste avere quello che vi manca: la ragione e il diritto nella lotta. Mi sembra inutile esortarvi a pensare alla Spagna.”

Laicità

Spengo la televisione. Riguardo i miei appunti. Mi manca un tassello. Da buon italiano, non capisco. Poi sono costretto ad ammetterlo: in 90 minuti di dibattito Rajoy e Zapatero non hanno mai nominato la Chiesa, né quella spagnola né il Vaticano, non hanno mai parlato di “cattolici”. La Spagna non è certo un paese meno cattolico dell’Italia.

E questo non vuol dire che i due avversari non abbiano affrontato temi “etici”, anzi. “Penso che siano etici tutti i temi della politica” ha detto Bertinotti nel dibattito con Casini la settimana scorsa. Mi trova completamente d’accordo.

Ricordo che la Chiesa spagnola qualche settimana fa si è schierata ufficialmente al fianco del PP di Rajoy, creando un vero e proprio scandalo in un paese che, per quanto cattolico, ha conquistato la vera laicità. La Chiesa parla ancora di politica, ma la politica non parla della Chiesa.

La vera laicità, quella che esiste veramente, è quella di cui non si parla neanche.

giovedì 21 febbraio 2008

Voto utile?

La profonda crisi nella quale si sta dibattendo la classe politica italiana è vista dai più ottimisti come un rinnovamento necessario, come un passo verso il tanto invocato bipartitismo o più semplicemente verso la semplificazione del parodistico mosaico di partiti che, in un intricato gioco di interessi comuni e alleanze, nascondevano il volto della classe politica italiana.

La nostra democrazia trova terreno fertile nella profonda convinzione, diffusa a tutti i livelli della società, che ogni aggregazione di individui, per quanto numericamente insignificante, abbia il diritto di essere rappresentata. È stata per questo definita “dittatura delle oligarchie”: i partiti nascono come gruppi di pressione veri e propri, e il trasformismo è all’ordine del giorno. La nascita del PD, anteriore alla caduta del governo Prodi, ha spinto il centrodestra a semplificarsi nel Popolo delle Libertà. In un momento in cui l’antipolitica sembra farsi spazio ovunque, siamo di nuovo chiamati a votare. La crisi coincide con una campagna elettorale.
Intorno ai due “poli” la frammentazione tende a semplificarsi, è vero, ma se c’è un cambiamento in questo momento di shock, è una brusca virata, che definirei antidemocratica.

Il Partito Democratico è ormai una realtà di centro, che ricorda il New Labour inglese. La laicità, come evidenzia Odifreddi nella sua lettera aperta a Veltroni, rimane una parola svuotata di contenuto nel futuro atteggiamento del partito, e anzi viene accantonata, sottolineando nel Manifesto dei Valori «la rilevanza nella sfera pubblica, e non solo privata, delle religioni».
Nello Statuto, nel Codice Etico e nel Manifesto dei Valori del PD è assente, per la prima volta nel centrosinistra italiano del dopoguerra, ogni riferimento alla Resistenza o all’antifascismo. L’eredità della sinistra è lasciata tutta in mano ai dieci punti percentuali della Sinistra Arcobaleno, unica realtà rimasta per la quale le convergenze sono in primo luogo di ordine politico e valoriale, e non un calcolo di interessi, la riserva indiana della giustizia sociale, della laicità e della pace. Il centrosinistra ha chiuso l’esperienza con la sinistra radicale.
Alla destra del PD la Rosa Bianca si propone come alternativa svuotata di contenuti ai due poli, e ha il solo effetto di confondere ulteriormente le acque e ingaggiare una battaglia per i voti degli indecisi con i due neonati partiti, ma soprattutto per i voti cattolici “puri”. In questi giorni si parla di voto utile, ma la realtà è che in questa corsa al bipolarismo si creano delle voragini ideologiche nelle quali trovano linfa vitale i vari Casini, Mastella e Tabacci. E queste realtà parassitarie, che in un sistema bipolare non hanno ragione di esistere, avranno una grande libertà di manovra quando si conteranno le schede. Quando il centrosinistra chiude con la sinistra radicale, il centrodestra chiude con il centro, diventando destra.
Il matrimonio tra Forza Italia e AN è un brusco spostamento, e all’estrema destra nasce, come all'improvviso, una pericolosa realtà neofascista, La Destra di Storace, che attacca ripetutamente il “traditore” Fini, ma è in continuo dialogo con il PDL, definito per l’appunto “troppo a destra” anche da Mastella.
Tutto questo a due settimane dall’annuncio di alcune destre europee (austriaca, francese, belga e bulgara) di creare un partito di “Patrioti Europei”, al grido “patrioti di tutta Europa, unitevi!” La gravità di questa deriva, confermata dalla guerriglia xenofoba in atto in Germania, non è da sottovalutare. L’Europa si ritiene immune da ogni forma di autoritarismo, è vero, ma è una convinzione che può essere discussa, soprattutto per quanto riguarda l’Italia. Alcuni giornalisti stranieri intravedono la possibilità che il nostro paese sia diventato il terreno ideale per l’arrivo del populismo, un populismo “sudamericano” per intenderci, incarnato nella figura del Cavaliere. Nel momento in cui il sistema democratico sta cercando di riformarsi per sopravvivere alla propria complessità, non è così assurdo temere una deriva autoritaria, nel margine di manovra concesso dalle nostre istituzioni. Il totale controllo di sei canali televisivi su sette, il parziale controllo della stampa, falsi in bilancio, conflitto di interessi e leggi “ad personam”, concorso in associazione mafiosa, e svariati altri reati sono stati gli antipasti. Rischiamo di essere arrivati al dolce.
Ritengo che la politica italiana stia toccando il fondo e debba essere ridisegnata. Sarà un processo lungo, faticoso e doloroso. Ritengo che il Partito Democratico sia solo una base, ancora ben lontana da una sua struttura, integrità e affidabilità programmatica. Ritengo una forzatura colossale questo tentativo di creare il bipolarismo-bipartitismo in due mesi, con la sola conseguenza di correre il rischio di dover poi affrontare la necessità di una grande coalizione, con la conseguente immobilità. Ma, nonostante questo, invito chi sta leggendo queste righe a una responsabilità individuale che eviti ogni sorta di compromesso etico estremamente pericoloso in questo momento delicato per la democrazia italiana. I nuovi toni pacati, la veneranda età e la storia personale del Cavaliere parlano chiaro. È forse l’ultima possibilità per lui di orientare la sfera pubblica al servizio del suo impero mediatico e finanziario, per dare un’ultima spallata al nostro paese.
Il mio non è un discorso politico, ma etico. Il servilismo è diventato una virtù in un paese che non crede più in niente, la corruzione dilaga, non c’è rispetto per la vita dei lavoratori, l’evasione fiscale, per quanto combattuta dal governo Prodi, è ancora vergognosa. Berlusconi ha recentemente sostenuto a Porta a Porta che la lotta all’evasione fiscale frena i consumi, per iniziare a riguadagnare un po' di consenso.
Proprio perché siamo il paese della corruzione, del nepotismo e delle tangenti, proprio perché la politica è marcia, proprio perché ognuno sa come funziona, è inaccettabile andare a votare il simbolo di questo sistema, colui che lo incarna.


Dobbiamo decidere se lasciarci sopraffare dalla sola sensazione che ci lascia questa politica, lo schifo, o se dobbiamo cercare delle risposte.
Non credo che questa "sinistra" abbia bisogno dell'antiberlusconismo per trovare la sua identità.
Credo che ne abbia bisogno il paese. Credo che dopo quattordici anni sia giunto il momento di voltare pagina. Di darci un'altra possibilità.