giovedì 28 febbraio 2008

Debate historico

“¿Estamos mejor?”
Stiamo meglio?

Si apre così il vis à vis di lunedì tra, Rajoy e Zapatero, i due candidati alla presidenza spagnola si affrontano in un dibattito televisivo per la prima volta dopo quindici anni. In questa domanda si riassume l’approccio del candidato del centrodestra al dibattito. Nella sua genericità si nasconde la debolezza delle “proposte” contrapposte alla politica del governo Zapatero, e nella grande forza mediatica della domanda riposano le speranze del PP, in forte recupero nei sondaggi, di giocarsi la vittoria con i socialisti.

Rajoy si risponde così: “Se chiediamo a Zapatero risponderà di sì, ma la gente non sarà d’accordo”.
Nei novanta minuti di ping-pong che seguono, entrambi i candidati snocciolano cifre, sondaggi e statistiche per sottolineare la pertinenza delle loro affermazioni, e non mancano attacchi personali, colpi bassi, e interruzioni contro le “regole del gioco”. Sull’attendibilità delle cifre, oltretutto, sono state sollevate molte obiezioni: entrambi i candidati non hanno esitato a strumentalizzare e forzare grafici e numeri, atteggiamento considerato ormai del tutto normale in democrazia.

Tuttavia ha dell’incredibile l’attacco a testa bassa di Rajoy alla politica economica e sociale del governo Zapatero. Il leader del PSOE ricorda prontamente al rivale di avere addirittura superato le richieste di crescita economica e di posti di lavoro fatte al governo dal PP a inizio mandato (Rajoy chiese una crescita del 3% annuale e 2 milioni di posti di lavoro, Zapatero rispose con una crescita del 3,5% e 3 milioni e mezzo di posti di lavoro). Zapatero sottolinea inoltre seccamente: “Non hai mai fatto opposizione sulla nostra politica economica, ma solo sull’Eta”. Rajoy non si farà scrupoli nell’accusare il governo di centrosinistra per l’aumento dei prezzi di alcuni beni dovuto al mercato internazionale, e dunque alla recessione mondiale. La feroce critica diventa controproducente nella tattica di Rajoy anche quando si addentra nelle questioni sociali. Ciò nonostante non sono tanto i contenuti a essere da sottolineare, quanto, a mio parere il linguaggio usato dai due contendenti.

Un rapido accenno alla prossemica e al linguaggio del corpo. Gli appunti e le statistiche sono per Rajoy indispensabili: per quanto abbia ben preparato lo scontro elettorale, sembra sempre aggrapparsi a cifre scovate, a sensazionalistici titoli di giornale, a curve statistiche che scendono a picco, per attaccare il suo rivale. Ben conscio del fatto che il terrorismo basco è sempre una carta da giocare. Rajoy siede rigido, gli occhi un po’ persi, le mani sempre a cercare tra i suoi appunti.
Zapatero, diversamente, guarda molto raramente tra i suoi fogli. E quando lo fa è quasi esclusivamente per rispondere alle accuse dell’avversario. Il suo sguardo non evita di fissare il suo interlocutore, la sua voce è sicura, e quando risponde a Rajoy si sporge sul tavolo che li separa, quasi lo volesse schiacciare con le sue parole. È questa una differenza che si nota fin dalle prime battute del dibattito. Sulle scelte lessicali (e connessi significati) le diversità tra i due candidati sono rilevabili senza difficoltà.

L’omogeneità degli interventi di Rajoy si scova infatti nella forma più che nei contenuti.
Praticamente in ogni suo intervento, il leader del PP si aggrappa a una terminologia confusa e demagogica, di grande impatto. Dopo l’ouverture già citata, lancia il dibattito estraendo dal cilindro “chi non arriva a fine mese”, immigrazione e sicurezza (oltre che l’immancabile lotta al terrorismo), e criticando duramente la “allianza des civilisationes” promossa dal PSOE, mettendosi così implicitamente in linea con la percezione del fenomeno migratorio e della globalizzazione come “clash of civilisations” (Huntington), una visione della realtà che necessita la demonizzazione dell’ “altro”, dunque l’intolleranza. Con tristezza mi tornano in mente le parole di Kofi Annan di un anno fa.
Il tentativo di delegittimazione delle politiche del governo Zapatero da parte di Rajoy si appoggia a uno spudorato utilizzo di sondaggi, al riferimento costante al “rincaro dei prezzi” (benché smentito a più riprese dal suo rivale), e più di una volta arriva a chiedere maggior giustizia sociale. Le parole “ordine e controllo” non mancano dal vocabolario del leader del PP, affiancate dall’“idea di Spagna”, concetto utilizzato più di una volta, che non viene specificato ma che ricorda gli appelli di Francisco Franco alla vigilia della guerra civile. Impossibile non notare, oltretutto, le grandi affinità con il linguaggio del PDL nostrano, in particolar modo il continuo riferimento allo “scontento popolare”, sulla base di sondaggi di dubbia provenienza, spesso su campioni di poche migliaia di cittadini, che rischiano di provocare una reazione a catena nelle intenzioni di voto: la “profezia che si autoavvera” mertoniana.

Nel vocabolario di Zapatero i termini più carichi di significato sono, a mio parere, “distribuire la ricchezza”, “politica sociale”, e “diritti”, ma, a differenza delle critiche dell’avversario, trovano concretezza nelle leggi e nelle misure applicate dal governo di centrosinistra. Zapatero, se attaccato, ricorda con serenità agli spagnoli l’enorme crescita economica, il tasso di disoccupazione ridotto ai minimi storici, i passi avanti sui diritti delle donne, la legge della “dependencia”, una parziale regolarizzazione dell’immigrazione irregolare, gli incentivi alle nascite, lo sviluppo della ricerca e della cultura, tutto questo senza nascondere il fatto che su altri temi, in primis la gestione del problema Eta, il suo governo non abbia saputo prendere la strada giusta. Ma non è tanto nel linguaggio, né nell’indubbia posizione di vantaggio di Zapatero, che si trova, a mio parere, il nocciolo della questione.

È l’appassionata critica allo spirito antidemocratico di Rajoy (e di ciò che rappresenta) a dare forza alle ragioni di Zapatero. Da italiano è facile credere che faccia parte delle regole della democrazia, eppure il leader del PSOE si scalda, gli occhi fissi sull’interlocutore, il volto leggermente arrossato, per dire: “siete l’unica opposizione del mondo sviluppato a non essere mai d’accordo”.
Quando Zapatero elenca a Rajoy le leggi non appoggiate dal PP incalzandolo (“non avete mosso un dito affinché gli spagnoli avessero più diritti”), quando incredulo ricorda al suo interlocutore che non bisogna strumentalizzare il terrorismo, e sottolinea a gran forza come la difficoltà di gestione del fenomeno basco dovrebbe essere affrontato da governo e opposizione insieme, quando ricorda le imbarazzanti esternazioni di disprezzo Rajoy sugli intellettuali e sulla ricerca universitaria, non sembra di vedere un candidato alla presidenza che getta acqua al suo mulino, quanto un convinto sostenitore della democrazia che cerca di arginare il desiderio di potere del suo rivale, il quale non esita a far ricorso ad ogni stratagemma e a una terminologia ipocrita pur di strappare qualche elettore al suo avversario.

Tutto questo è, a mio parere, confermato dagli interventi conclusivi, slegati dal dibattito perché ben pianificati, e illustrati con lo sguardo fisso negli occhi dello spettatore-elettore.

Rajoy sostiene di non volere il voto per sé ma per la Spagna intera, per ogni bambina che nasce, e ha diritto a una casa, a un padre con un lavoro, sostiene di volere il voto per i diritti umani, per la tolleranza e per la libertà. Facili populismi. Tolleranza verso chi? Libertà o libero mercato? Subito prima di parlare di competitività, Rajoy ha sostenuto che gli spagnoli devono essere “liberi e uguali”. Difficile non notare come le parole d’ordine utilizzate a effetto dal leader del PP arrivino da ogni campo semantico, da ogni esperienza politica, difficile non rendersi conto dell’incongruenza di fondo davanti all’utilizzazione sistematica di termini come “ordine e controllo” e “tolleranza e libertà”. Il populismo demagogico del leader del centrodestra lascia allibiti.

Zapatero conclude ricordando la crescita, chiedendo altri 4 anni per il pieno impiego, maggiori diritti, salari, lotta al riscaldamento globale, miglioramento di infrastrutture e comunicazioni. Termina il suo discorso parlando di pari opportunità.

Nella memoria collettiva spagnola, la ferita della guerra civile e del regime franchista è ancora aperta. La Spagna è ancora spaccata in due. I due candidati rappresentano questa spaccatura. Qual è la differenza tra Rajoy e Zapatero?
Il primo finge di prendere la parola negli interessi di tutti gli spagnoli, non facendosi scrupoli di sorta a parlare di giustizia sociale, di tolleranza, di libertà, di “chi non arriva a fine mese”, della “gente”. Lo fa in maniera strumentale, lo può fare perché questo è permesso in una democrazia, lo fa per strappare voti all’avversario. Ma, da che mondo è mondo, se Rajoy dovesse vincere sarebbe proprio chi “non arriva a fine mese” a stare peggio. Da che mondo e mondo, con un governo di centrodestra le disparità non diminuiscono ma aumentano, la “tolleranza” lascia spazio all’intolleranza, i “diritti” delle minoranze vengono accantonati.
La politica di Zapatero, invece, punta a un equilibrio, alla smussatura delle ineguaglianze, a uno stato sociale forte, a una sanità adeguata, a un controllo dell’immigrazione memore della grande ondata emigratoria iberica e cosciente dei diritti individuali e universali,
Visto il recupero del centrodestra nei recenti sondaggi, e l’effetto a catena che questo può provocare, non è da escludere una vittoria di Rajoy.

La tristezza che mi prende quando penso a questa eventualità mi ricorda le ultime parole di Miguel de Unamuno, rettore dell’Università di Salamanca, poco prima di lasciare la sua città in mano ai militari franchisti che controllavano ormai gran parte della penisola iberica:

“Voi vincerete ma non convincerete perchè per convincere bisognerebbe che voi persuadeste e per persuadere dovreste avere quello che vi manca: la ragione e il diritto nella lotta. Mi sembra inutile esortarvi a pensare alla Spagna.”

1 commento:

Anonimo ha detto...

"Vencereis, pero no convencereis", pancarta colgada en el Balcón del Ayuntamiento de Salamanca, referente a los papeles del Archivo de Salamanca, de la Calle Gibraltar número 2, hoy, Calle El Expolio