sabato 29 marzo 2008

Così non ci sentono

Innanzitutto vorrei scusarmi con i lettori per il lungo silenzio. Sono sommerso dallo studio, e ho lasciato un po’ il blog in balia di sé stesso. Lancio un veloce spunto.

Molti di noi non hanno ancora deciso se votare o no.
In tanti mi hanno detto “ma che senso ha andare a votare?”. Ho ricevuto una – giusta – critica per aver unito nel sondaggio “astensione”, “boicottaggio” e “scheda bianca”. Per molti, questo è scegliere. “Perchè astensionismo e scheda bianca (o meglio annullamento della scheda) non sono distinti? trovo che siano due cose profondamente diverse”. Anch’io trovo che siano due cose completamente diverse.
A parte il fatto che non è assolutamente chiaro il legame tra “schede bianche/nulle” e “premio di maggioranza” (invito chi avesse certezze al riguardo di condividerle), il voto non valido verrà “conteggiato”. Sarà un “non voto”.
Il boicottaggio. L’illegittimità di queste elezioni. Io seguo quotidianamente il blog di Beppe Grillo, divenuto ormai il simbolo della cosiddetta “antipolitica”. Peccato che così sia detta dalla politica, che non è molto credibile. E di italiani stufi, ma stufi marci, ce n’è davvero tanti. Immagino che la maggior parte di voi stia pensando a sé stesso. Non mi tiro fuori.
L’astensione è una disfunzione della democrazia dalla quale l’Italia è quasi immune, ed è proprio questo che voglio sottolineare. Boicottare oggi, cioè non andare a votare, non solo non servirà: non si noterà neanche. Siamo una delle democrazie con il più alto tasso di partecipazione al voto, dunque non sarebbe visto come un problema, anzi. Nei paesi con tassi di partecipazione ridicoli (leggi Stati Uniti, ma non solo), la politica non ha neanche bisogno di “consenso”, la politica viaggia a un livello superiore, non è controllata da nessuno.
Ora che l’“antipolitica” è così forte, che si riparla delle tasche gonfie dei deputati, che si chiede un “parlamento pulito”, che “gli italiani vogliono un cambiamento”, farebbe tanto comodo a tutti, là ai piani superiori, che gli italiani imparassero a guardare dall’altra parte. A non degnarsi nemmeno di scegliere il partito, visto che già non possono scegliere il candidato. Qualche decina di migliaia di italiani così sarebbe ossigeno puro per la nostra cara e vecchia “casta”, sarebbe stress che se ne va. Non deve essere divertente fare il politico oggi, in Italia. Tutti questi occhi puntati addosso. Inoltre, credo che anche i “voti non validi”, più visibili dell’impersonale “tasso di astensione”, sarebbero un’anomalia segnalata nei primi tg, e poi pian piano dimenticati, o sfoderati come arma elettorale alle prossime elezioni.

Penso che sia fondamentale continuare a esercitare il nostro diritto di scegliere anche in queste condizioni, anche se ci sentiamo presi in giro, perché siamo noi quelli a cui la politica dovrà rendere conto di quello che farà.

Detto questo, vi invito a guardare nella sezione Iniziative, “se vuoi boicottare il voto”, dove ci sono spunti interessanti per non votare facendosi sentire. Abbiamo bisogno anche di questo.

mercoledì 19 marzo 2008

Liberi di uccidere

L’opinione pubblica occidentale insorge, sdegnata. La repressione feroce attuata dal governo cinese in Tibet smuove gli animi. Si invoca il boicottaggio delle Olimpiadi. Il Dalai Lama interviene: “Quello in atto in Tibet è un genocidio culturale, ma non bisogna boicottare i Giochi Olimpici: i cinesi se li sono meritati”.

Un coro di proteste: “un paese che non rispetta i diritti umani non può ospitare le Olimpiadi.”

Eppure oggi bisogna festeggiare. È il compleanno di una guerra. Happy birthday, Iraq.

Il 19 marzo 2003 cominciava Iraqi Freedom. Sul conteggio dei morti si è discusso molto, ma sono tutti d’accordo che si parla di qualche centinaia di migliaia di vittime.
Irachene, beninteso.
Benché i “negazionisti” (iraqbodycount.net) non sappiano ancora contare fino a 90 000, la maggioranza dei calcoli indipendenti indica cifre che sfiorano, per eccesso o per difetto, il milione di morti. L’ultima stima dell’Oxford Research Bureau dice un milione e trecentomila. L’Opinion Research Business a febbraio ha ipotizzato un numero di caduti tra 940 000 e un milione e centomila circa.

Vorrei ribadire il concetto in cifre.
1 000 000.
Pensate a quante vite umane passeggiano tra queste 7 cifre. Inutile ricordare che la stragrande maggioranza delle vittime sono civili.

E inutile ricordare gli oltre due milioni di profughi creati da questo quinquennio di morte e distruzione, uomini e donne costretti a lasciarsi alle spalle una casa in macerie, e spesso costretti a una vita di miseria e/o prostituzione in paesi vicini come la Siria.

I caduti americani sono circa 4 000.

L’intersezione tra superprofitti e megadisastri sembra essere l’unica spiegazione logica di questa follia omicida.
Il controllo delle risorse, per il quale sono stanziati in pianta stabile 500 000 soldati americani nei cinque continenti, è un obiettivo che il governo americano non ha mai tenuto nascosto. A dicembre l’Iea (Agenzia Internazionale per l’Energia) ha reso noto che l’estrazione di greggio in territorio iracheno ha superato i livelli precedenti all’invasione angloamericana. Questo nonostante lo stato di instabilità del paese.
La necessità di restare con l’esercito in una zona ostile è un’altra ragione. Per quanto ritengo necessario evidenziare come la zona sarà sempre “più ostile”, fatto del tutto comprensibile se si considera che gli americani partecipano da decenni alla distruzione della regione, o di persona o come fornitori di materiale bellico.
Il business degli aiuti e delle ricostruzioni for-profit (ben illustrato da Naomi Klein nel suo “Shock economy”), per il quale ogni disastro è business – per cui tanto vale crearlo il disastro – è un’altra ragione.
Le spese militari: famigghia Bush e contractors, sono un altro buon motivo. L’ultimo libro di Stiglitz (premio Nobel per l’economia, autore del magnifico “La globalizzazione e i suoi oppositori”) “The tree million dollar war” evidenzia però come le altissime spese sostenute in questa guerra siano un fattore importante per l’attuale crisi finanziaria. E allora ci si inizia a chiedere dove cercare il vero perché di questa “sporca guerra”.
Enough is enough.

Eppure il topic Iraq, nonostante le previsioni, è completamente ignorato dallo sgarbato dibattito Obama - Clinton. Pur di parlare il meno possibile della patata bollente, Obama è arrivato a tirare in ballo – dopo lunga attesa – la questione razziale. Esprimendo oltretutto un punto di vista alquanto WASP (white anglo saxon protestant) sulla questione. Ma, per tornare all’Iraq, ancora una volta l’opinione pubblica americana è rimasta narcotizzata per anni. Forse non è poi così tanto bollente, questa patata.

Cade un’altra ricorrenza nel mese di marzo 2008: sono passati 40 anni dal massacro di My Lai (in Vietnam) di 504 civili reso famoso dalla rivista "Life", che, benché fosse solo un effetto collaterale dell’azione "Wheeler Wallawa" (uno sterminio di massa di B-52 diretti contro i villaggi), ebbe la potenza mediatica necessaria per dare una spinta decisiva – nell’anno e mezzo successivo – alla presa di coscienza dell’opinione pubblica nordamericana, che iniziò ad accodarsi ai movimenti pacifisti. Le manifestazioni di oggi sono forse il segnale di una congiuntura. Speriamo che le ricorrenze servano a qualcosa.

Benedetto XVI ha finalmente detto la sua sulla questione tibetana. Più che aver ceduto alle pressioni della comunità internazionale, è stato messo spalle al muro. “Con la violenza non si risolvono i problemi, ma solo si aggravano”, la sintesi del suo invito al dialogo.
Inoltre la settimana scorsa ha parlato, inaspettatamente, di Iraq. La morte di un vescovo gli ha ricordato il metodico massacro che è in atto da cinque anni.

Ritengo ingiustificabile la sanguinosa repressione in atto in Tibet in questi giorni. Ma è altrettanto ingiustificabile lo sbilanciamento dei media.
Nell’ultimo anno gli Stati Uniti hanno più volte bombardato il Corno d’Africa, uccidendo decine di civili sperando di colpire nel mucchio qualche terrorista. Qualche trafiletto sui giornali “partisan”.
Oggi un raid americano ha ucciso sei civili (tre uomini, una donna e due bambini) in Afghanistan, nella zona di Khost. Il portavoce dell’esercito statunitense ha riferito che i bombardamenti erano mirati a eliminare una milizia chiamata Bismullah. A quanto pare, l’obiettivo non è stato centrato.
Il recente scandalo Francia – Ciad è l’ennesima conferma delle mani sporchissime di sangue dei francesi in territorio africano, dopo la fornitura di machete per il genocidio ruandese. Genocidio vero, non culturale.
Le esternazioni di Martino che si è rimesso a parlare di truppe da inviare in Iraq in campagna elettorale non possono che lasciare allibiti. Dall’Iraq tutti se ne vanno, il PDL ci vuole tornare.
Gli Stati Uniti sono stato l’unico paese dell’OSA (Organizzazione degli Stati Americani), lunedì, a non condannare la violazione della sovranità dell’Ecuador da parte della Colombia. Alcuni esperti hanno fatto notare in queste settimane quale sia la vera posta in gioco della crisi andina: una guerra regionale: uno stato satellite spalleggiato e equipaggiato dagli Stati Uniti (e Francia e altri governi occidentali) contro i tre governi “altermondialisti” che, non avendo negato il loro appoggio alla guerriglia FARC, saranno presto inseriti nella famigerata “lista” delle organizzazioni terroristiche. Governi poveri, con degli eserciti che fanno il solletico per giunta, ma ricchi di risorse. Tornerò sull’argomento, comunque in Colombia i mali da estirpare sono tre: i paramilitari, il governo Uribe e le FARC.
Le reazioni furibonde delle multinazionali occidentali alle nuove norme (che proteggono di più i lavoratori) attuate a inizio gennaio dal governo cinese, non lasciano spazio ai dubbi. I diritti dei lavoratori non vanno d’accordo coi profitti.

I diritti. Ah, i diritti.

L’espressione rogue state (stato canaglia) è stata coniata da Noam Chomsky. Indicava gli Stati Uniti, non l’Iran, non la Corea del Nord, non la Cina.

In questi giorni, la rabbia che ho provato per l’ingiustificato comportamento del governo cinese è stata sovrastata da una sensazione più forte. L’impressione di essere, persino quando scendiamo in piazza per una nobile causa, imbavagliati e con due lacrime rosse dipinte sulle guance, tante inutili pedine. E allora boicottiamo le Olimpiadi, se ha davvero senso, per quanto io tenda a identificarmi con l’opinione del Dalai Lama, che ha evidenziato come sia profondamente ingiusto punire il popolo cinese per la violenza del suo governo. E allora manifestiamo per la vita dei tibetani. E manifestiamo contro le FARC.

Ma restiamo sempre con gli occhi aperti, con il mouse che scorre alla ricerca delle vere informazioni, perché ogni volta che ci indigniamo dobbiamo saper vedere chi ci sta muovendo e le alternative. Non facciamoci risucchiare dal nulla.

L’idea del mio blog è un po’ questa. L’unica nostra arma, per il momento, è la parola.

venerdì 14 marzo 2008

Piovono mimose

Un lettore mi ha chiesto di smetterla con questa “campagna discriminatoria nei confronti di una persona unica quale BERLUSCONI”, e mi ha invitato a “esprimere dei valori e delle idee nelle quali ci si possa riconoscere”. Voglio innanzitutto ribadire l’importanza che hanno per questo “blog in progress” i vostri commenti, anche in forma privata. Incasso quando sono critiche e accolgo ogni suggerimento.

Come si può notare leggendo i post sulla Spagna, su Gaza, crisi andina e Russia, e seguendo quotidianamente la sezione “Ieri e oggi”, oltre che “Iniziative”, il mio interesse non si limita alla politica interna, anzi.

In questi giorni, per esempio, la situazione resta drammatica nella Striscia, in Iran si vota e in Tibet si muore, la crisi dei prezzi preoccupa tutto il mondo occidentale (da Bush alla BCE), i rapporti Chavez – Uribe vivono un momento di calma solo apparente, Al Quaeda fa avere sue notizie.

In questo momento decisivo per il nostro prossimo futuro, però, non è possibile distogliere lo sguardo dal Belpaese.

A casa nostra regna il “sense of humour”.

Il Cavaliere si difende dalla pioggia di critiche alla sua battuta rivolta a "una precaria” – ha un nome questa “precaria”? – alla quale, con il suo sorriso mummificato, ha detto di sposare il figlio di Berlusconi per migliorare la sua condizione economica. “Poveri noi, se cadessimo nelle mani di chi non ha sense of humour”, ha risposto seccato alle reazioni indignate. Un candidato alla Presidenza del Consiglio osa riferirsi a una giovane precaria dicendole di far leva sul suo sorriso per trovarsi un marito ricco?

MA STIAMO SCHERZANDO?

Forse in un paese scandinavo una frase del genere comprometterebbe la campagna elettorale del candidato. Persino negli Stati Uniti. Non nella nuova Europa “populista”. Qualche settimana fa Sarkozy, al salone dell’agricoltura, ha dato del “pauvre con” a un signore che non ha voluto stringergli la mano. “Povero stronzo”, per rendere l’idea.

Le donne continuano a essere pagate meno degli uomini, molte crescono ancora in sacche di ignoranza, in ambienti ai quali sono incatenate, spesso con molte meno opportunità dei loro coetanei. Pubblico una lettera apparsa il 7 marzo sul blog di Beppe Grillo:
La disoccupazione femminile in Italia riguarda il 46,2% delle donne in età lavorativa e ha due conseguenze fondamentali: impoverimento delle famiglie e bassissimi tassi di natalità.Senza occupazione femminile non c'è sviluppo per il paese, così la Commissione Europea che richiede all'Italia di arrivare al 60% di occupazione entro il 2010. Come reagiscono le Istituzioni Italiane, cosa suggeriscono i partiti di maggioranza? (da Umbrialeft) Il Pdl propone l’introduzione del “quoziente familiare” che andrebbe a tassare maggiormente il reddito delle mogli - che percepiscono meno del marito - e meno quello dei mariti, il Pd propone un incentivo al lavoro di cura gratuito attraverso una riduzione di aliquote fiscali sulle donne che possano “certificare”le spese di cura. Peccato che in entrambi i casi niente viene fatto per aumentare l’occupazione femminile, penalizzata proprio dalla cultura della discriminazione, dal peso dei lavori di cura gratuiti, dalla differenza dei salari a pari prestazione, dalla mancanza di flessibilità e in genere dalla tradizionale incapacità di partorire nuove strategie economiche per il paese.
Non è solo “un precario” quella ragazza della nostra età. È anche una donna. Che è stata insultata da un miliardario.

Intanto, la bufera Ciarrapico è arrivata alle orecchie del Partito Popolare Europeo, Juncker si è indignato: “Al Ppe non c’è spazio per i fascisti”. Gli opinionisti stranieri sono allibiti dai toni che la campagna elettorale del PDL ha ormai fatto suoi. Il Cavaliere ha strappato il programma del PD, tollera e protegge tra le sue linee un signore che si definisce “fascista”, manca di rispetto a una giovane precaria. Mercoledì un Berlusconi sommerso dai microfoni ha reagito nervosamente alle domande su Ciarrapico, inveendo contro i giornalisti: “Stavate sempre con loro [i comunisti]”, “vogliamo parlare degli scempi del comunismo?!?” e via dicendo.
Continuare la polemica mi sembra controproducente e fuorviante. Il lapidario commento di Di Pietro dovrebbe riportare la discussione su un altro campo minato: “Ciarrapico è innanzitutto un pluricondannato”.

Per tornare alla critica che mi è stata mossa, il primo dei valori che non può mancare in una cultura democratica è il rispetto. Perfino dell’avversario. Non dovrebbe essere permesso stracciare il programma elettorale dell’altro schieramento, candidare nel proprio schieramento un dichiarato “fascista”, e ancor meno insultare la dignità di una ragazza che riflette la situazione di centinaia di migliaia di sue coetanee in un paese con poche opportunità. E questi sono fatti dell’ultima settimana.

“Una destra populista può vincere le elezioni ma può difficilmente governare un paese”. Sono parole di Casini. La tempestiva risposta del Cavaliere è stata:

“Ciarrapico andava a braccetto con Casini.”

Forse dovrei avere anch’io un maggior “sense of humour”. È che proprio non mi fa ridere.

Nel prossimo post cercherò di distogliere lo sguardo dall’Italia.

lunedì 10 marzo 2008

La destra radicale

Zapatero ha vinto. Con limpieza.

“Che l’insulto non contamini il dibattito”, aveva chiesto il candidato socialista all’avversario la settimana scorsa. Rajoy non aveva accolto l’appello, dandogli ripetutamente del bugiardo.

A nulla è servita la strumentalizzazione del terrorismo basco, a nulla è servito il populismo demagogico di Rajoy, che la settimana scorsa è arrivato a lamentare l’eccessivo divario ricchi-poveri, pretendendo una “giustizia sociale” che non è certo appannaggio di una destra che si erge in difesa dei privilegi di pochi per privatizzare i profitti e nazionalizzare le perdite. E il terrificante “voto” dell’Eta non ha cambiato nella sostanza il voto degli spagnoli. Anche se ci si aspettava una vittoria più netta del PSOE, ieri l’Europa ha detto no a un ulteriore spostamento a destra. In Spagna e in Francia.

Oggi siamo tutti Zapatero.

Veltroni, Bertinotti e Boselli si sono contesi oggi il trofeo del più “zapaterista”. Risultano buffi, ma almeno il modello è positivo. Si ringhiano un po’ addosso, si fanno belli della luce spagnola. La situazione si fa surreale con le dichiarazioni di Calderoli: “In Italia Zapatero starebbe con noi perché qua c’è il riformismo”. E allora viene da chiedersi cosa sta succedendo. Capisco che in questo momento il socialismo sia l’abito che più si addice al centrosinistra e persino alla sinistra italiana. Anche l’UMP di Sarkozy è stato bastonato come si deve. E la feroce contrapposizione interna (e non nuova) della sinistra italiana non cade neanche a sproposito, visto che nei fatti le politiche di Zapatero si situano spesso a metà tra i programmi del nuovo PD e quelli, in ogni caso non dotati di una “organicità governativa” della Sinistra Arcobaleno. Anche perché in Spagna il bipartitismo incomincia a divorare punti percentuali agli estremi, ma in un processo sostanzialmente virtuoso fondato sull’inclusione e sulla scelta netta, e non sull’esclusione di un solo estremo, quello sinistro. Ma vedremo cosa ne pensano gli italiani. Il rischio che il “voto utile” diventi un voto “con il naso tappato” è ogni giorno più concreto.

Non è nel tentativo della sinistra di trovare dei punti di contatto con il socialismo spagnolo che è da individuare la falla del nostro sistema. È nel fatto che la Lega Nord, in teoria falange estrema di questo Popolo delle Libertà, rivendichi una vicinanza ideologica con Zapatero. Questa anomalia evidenzia un paio di problemi. Il primo è che mette ancora una volta in crisi la tanto invocata unità programmatica della destra, che di giorno in giorno si rivela più teorica. Il secondo riguarda la reale collocazione del PDL. Non sono stato certo io il primo a notare il brusco spostamento a destra del nostro panorama politico (nonché di quello europeo), in particolare nel mio primo post “Voto utile?” Molti analisti e giornalisti hanno rilevato questa realtà. La fresca vicenda Ciarrapico non fa che confermare questo strappo (o ricongiungimento?) con il passato. Fini prende le distanze, additando Berlusconi come responsabile: Forza Italia ha dunque scavalcato AN? La Destra di Storace deve ripensarsi in relazione ai suoi “nemici-amici” del PDL? O forse l’ha già fatto? Lo spostamento a destra progressivo e inarrestabile del centrodestra italiano inizia a far paura, soprattutto per i forti legami con le realtà neofasciste del territorio che Storace, Fini e Berlusconi mantengono e coltivano da anni. E, forse paradossalmente, il più preoccupato da questo sembra essere Fini.

In ogni caso, sabato Berlusconi ha voltato pagina. Bonaiuti oggi ha ribadito il concetto. L’invito ad “abbassare i toni” che era stato accolto a inizio campagna elettorale è presto dimenticato. Il “nuovo Cavaliere”, pacato e rispettoso, assomiglia sempre di più al vecchio. E anche molto a Rajoy.

Nei due dibattiti ero rimasto sinceramente impressionato dalle profonde convinzioni democratiche di Zapatero, che era arrivato a promettere un sostegno “sin condiciònes” alla politica del prossimo governo – socialista o populista – in materia di terrorismo. La moneta con cui è stato ripagato dall’avversario è stato il disprezzo, l’insulto.

Forse è questa l’unica analogia che lega il nostro confronto politico con quello spagnolo. Veltroni si è ripromesso di non rispondere alle provocazioni del Cavaliere, il quale ogni giorno si fa più agguerrito e intollerante. Vedremo come uscirà dalla vicenda Ciarrapico, vedremo se richiamerà nei ranghi la Lega, vedremo se arriverà qualche altra spacconata elettorale. Vedremo se saprà riportare i toni a una temperatura normale, ma ne dubito.
È solo un gesto, lo so. Ma la potenza comunicativa del significante risiede nel significato. In democrazia stracciare il programma dell’avversario è un affronto gravissimo. È uno schiaffo. È intollerabile. Non fa altro che confermare la deriva antidemocratica di questa destra, che ogni giorno si allontana da quel centro nel quale dovrebbe riposare l’equilibrio del bipartitismo che PD e PDL ci stanno facendo annusare. Una deriva che fa paura.



mercoledì 5 marzo 2008

Priapismi

Cento miliardi di promesse

“Il PDL fa promesse da 72 - 87 miliardi – il PD varia tra 19 e 28”.
Finalmente i giornali di domenica sono arrivati oltralpe.
Questi sono il titolo e il sottotitolo dell’articolo apparso su Il Sole 24 Ore del 2 marzo a pagina 5. Visto che sul blog e via mail mi sono arrivati molti commenti riguardo all’appetibilità (indubbia) del programma di Berlusconi, ritengo sia fondamentale citare la parte che riguarda la “partita fiscale”.

“Il Cavaliere punta a colossali potature. L’obiettivo è far scender dal 43 a sotto il 40% la pressione fiscale: ai dati attuali significa tagliare 52-53 miliardi. Il Cavaliere vuole eliminare l’Irap (pari a 33 miliardi se totale, e a 20 se calcolata solo su costo lavoro e perdite), poi le tasse su straordinari, tredicesime e quattordicesime che costerebbero una decina di miliardi. Quanto all’eliminazione Ici è noto che costerà 2 miliardi…”

In questo mondo senza adulti nel quale sto vivendo non mi è stato possibile trovare qualcuno con uno scanner, dunque sono impossibilitato a pubblicare sul blog l’articolo e le annesse tabelle, che ci mostrano come entrambi i candidati premier hanno dei programmi non coperti, ma con una differenza dai 68 ai 44 miliardi. Considerando che il programma del PD costerebbe in totale tra meno della metà e un quarto di quello del PDL.

Questa demagogia populista di Berlusconi è inoltre aggravata dalla sfrontatezza delle affermazioni (che oltretutto lo rendono ridicolo) degli ultimi giorni. Ammesso che ci sia ancora qualcuno che crede all’affidabilità dei sondaggi, Berlusconi, di fronte a questo “portentoso recupero” del PD, chiaramente seccato, in un comizio, ha sostenuto che evidentemente il PD utilizza “i falsi sondaggi”. Analogia con le sei volte che Rajoy ha dato del “bugiardo” a Zapatero nel dibattito di lunedì sera. E Veltroni, come il leader del PSOE, non risponde alla provocazione.

Per quanto io ritenga i sondaggi solo un pericolosissimo strumento politico e propagandistico per influenzare il voto degli “indecisi”, volendo anche credere alla straordinaria – per il fatto che non finisce mai di stupirci – affermazione del Cavaliere, sono fermamente convinto che sia ancora perdonabile il diabolico strumento dei “falsi sondaggi”, mentre delle false promesse, sinceramente, siamo tutti stufi.

Quo usque tandem abutere, Berlusconi, patientia nostra?

Vorrei inoltre ringraziare tutti i lettori che hanno mandato via mail un commento positivo, un ringraziamento, una critica o un consiglio al blog, e invito nuovamente tutti a partecipare attivamente sul blog stesso. Ricordo inoltre che sul blog ci sono i programmi dei cinque partiti principali.

lunedì 3 marzo 2008

Il 31 febbraio

Difficile sintetizzare in un post l’unicità e la potenza simbolica della prima domenica di marzo 2008. Difficile a volte avere lo sguardo attento, essere ricettivo, quando nel tuo paese, a casa tua, si sta giocando una battaglia decisiva, senza esclusione di colpi. Ogni parola è potenzialmente un coltello, l’opinione pubblica è una piuma pronta a svolazzare altrove appena cambia il vento, i sondaggi sono una spada di Damocle, il 15% della popolazione – così dicono i sondaggi… – decide nelle ultime due settimane! E intorno a noi il mondo cambia. Eventi travolgono altri eventi, lasciando solo un vago ricordo di quella che fino a ieri era stata la quotidianità di migliaia, o di milioni, di persone.

Medvedev in Russia sta stravince, e stravincerà. Nessuna sorpresa in questa notizia. Un abbondante 67, 4 e il 69,6 %, come previsto. Senza una vera opposizione, il coraggioso “dissidente” Kasparov costretto a cambiare piazza ogni manciata di minuti a causa della repressione, neppure il diritto lasciato a poche centinaia di persone di dire: “questa è una farsa”. C’è un nuovo zar sul trono della Grande Russia, parziale contrappeso della “lonely superpower”. Il delfino di Putin sembra essere il protagonista di una transizione solo formale: la sostanza resterà la stessa, e l’occidente si sta ormai abituando a Putin. Forse però non è tutto così prevedibile, così monitorabile: Putin chi era prima di essere Putin? Come dice Philippe Thureau-Dangin nel suo editoriale sul Courrier International, resta solo da sapere se Medvedev si accontenterà di “servire il vino” e di giocare a fare il brillante numero due ora che, visto il potere enorme che gli dona la Costituzione, potrebbe anche essere il numero uno. E non è una questione da poco.

La striscia di Gaza è probabilmente giunta al punto di non ritorno. “La giornata più cruenta nei Territori dopo la guerra del 1967”. Il raptus omicida che ha si è impossessato di Olmert ha sostituito la tecnica “chirurgica” utilizzata finora per le stragi israeliane: il devastante attacco che ha causato più di 100 morti in cinque giorni non ha precedenti, lo “sproporzionato uso della forza” denunciato da Europa e Nazioni Unite è l’antipasto dell’invasione della striscia annunciata da Israele. Straordinario il tempismo di Magdi Allam nel suo articolo del 1 marzo sul Corriere sulla “doppiezza dei giudizi” al riguardo di Hamas e il Pkk curdo, dove si lamenta della diversa considerazione mediatica data ai due fenomeni, visto che “si tratta di una comune battaglia della Turchia e di Israele per sconfiggere un terrorismo che colpisce spregiudicatamente anche la popolazione civile.” I razzi Qassam continuano ad essere praticamente innocui, e la risposta israeliana, sintetizzabile nell’indignazione di Olmert “è legittima difesa”, sono brutali e sanguinari attacchi che uccidono donne e neonati a decine. Inoltre, il vice-ministro della difesa israeliano, ha dichiarato ieri che “più i tiri di razzi Qassam si intensificheranno, più i razzi aumenteranno di portata, più la shoah alla quale si esporranno sarà importante, perché utilizzeremo tutta la potenza a nostra disposizione per difenderci”. È importante saper vedere, alla luce degli avvenimenti, la svolta ideologica e concettuale che implica l’utilizzo del termine shoah. Per la prima volta, inoltre, nella stessa giornata il Papa e l’O.N.U. invitano alla calma le due parti. L’occupazione ingiustificabile di Israele dei Territori non è più il punto in questione. Le recenti minacce di Bin Laden e Nashrallah suggeriscono che o si trova una soluzione ALL’ISTANTE o la zona calda diventerà incandescente, e di conseguenza ci troviamo davanti a un imperativo morale immediato per la comunità internazionale.

Il governo colombiano ha giustiziato ieri il numero due delle FARC, Raul Reyes, in queste settimane di grande scalpore mediatico intorno alla guerriglia colombiana e la sua “industria del rapimento”. Al di là delle opportune riflessioni che andrebbero fatte sulla realtà colombiana: paramilitari, FARC e governo corrotto a combattersi ettari di terreno e chili di coca, e al di là del fatto che questo atto di aperta belligeranza, in una guerra ormai più che quarantennale, stronca sul nascere un processo che sembrava avviato, con la restituzione di qualche ostaggio e un tentativo di dialogo, il fatto eclatante è che Raul Reyes, e gli altri 14 cadaveri, siano stati trovati in territorio ecuadoriano. In pigiama, “bombardati e massacrati mentre dormivano”, sottolinea con indignazione Rafael Correa, presidente dell’Ecuador, e minaccia una reazione. Chavez non ha dubbi: l’esercito venezuelano è già schierato al confine con la Colombia. Truppe e carri armati. Forse l’equilibrio della regione è spezzato. Non è una questione territoriale, né economica. Bisognerà vedere chi si schiererà con chi, chi si offrirà di mediare, e chi invece soffierà sul fuoco.

Quello che è certo è che “la comunità internazionale” questa volta non può permettersi di fermarsi a pensare. Persino Al Fatah nella striscia di Gaza ha detto basta, Israele ha sostenuto che la vera offensiva arriverà col bel tempo, e guardando il termometro che si scalda continua a sterminare civili in nome della “legittima difesa”. Chavez e Correa si troveranno forse fianco a fianco, e questa volta non si tratta di un “braccio di ferro” economico contro le potenze neoliberiste e i loro fantocci, ma della minaccia di un conflitto, e si è comunque creato un precedente. La Russia, interlocutore obbligato a causa del suo diritto di veto alle Nazioni Unite e del suo stato di potenza energetica, ha cambiato voce. Ora bisognerà scendere a patti con Medvedev. Un’incognita.

La “comunità internazionale” deve reagire velocemente.

In tutto questo, un articolo de Il Sole 24 ore ha dimostrato come, per attuare il suo programma elettorale, il Popolo delle Libertà non abbia sufficiente copertura finanziaria: avrebbe bisogno di una cifra compresa tra i 72,6 e gli 87,7 miliardi di euro, contro i 33,3 miliardi di coperture che invece dovrebbe ricevere in condizioni normali. Purtroppo non vi posso proporre l’articolo dal momento che Il Sole 24 ore non l’ha ancora messo online, arriverà presto. Oltretutto Maroni ha dichiarato che la prima misura che la Lega imporrà al PDL una volta al potere, “al primo consiglio dei ministri”, sarà di lasciare il 90 % delle tasse “padane” in Padania. E, come ha notato giustamente Veltroni, il programma del PDL non ne fa menzione, dunque la tanto invocata unità programmatica è ora da dimostrare.

Per quanto riguarda gli argomenti toccati in questo post, questa volta, per ovvie ragioni, la rassegna stampa non sarà esaustiva. Inutile dire che questo blog ha bisogno dei vostri commenti come dell’acqua, se no non sarebbe un blog.

Buona settimana.

sabato 1 marzo 2008

L'equazione

Nel suo ultimo comizio, qualche ora fa, Berlusconi ha dichiarato: meno tasse = più consumi, più consumi = più produzione, più produzione = più posti di lavoro.
Questa serie di equazioni mi ha illuminato. Confesso di non essere mai stato un granchè in matematica, oggi è quindi una giornata rivelatrice per me. Aboliamo le tasse!!! Avremo i consumi alle stelle (ah, che meraviglia!), una produzione record, e lavoro per tutti, ma così tanto lavoro che saremo obbligati a fare uscire gli immigrati dai CPT per farci aiutare...
A proposito, i 400 "presunti evasori" del caso Liechtenstein sono dei precursori di una nuova era, dunque andrebbero premiati. Dopo il falso in bilancio, propongo che l'omessa dichiarazione e la dichiarazione infedele vengano rivisti alla luce di questa entusiasmante scoperta. Basta perseguitare gli evasori! Ogni evasore sta creando produzione e posti di lavoro, no? E più è ricco più consuma.
Una lettrice ha giustamente suggerito che sulla questione bisogna essere in grado di proporre una risposta di tipo culturale.
Vorrei che ogni lettore del blog provasse a definire la pressione fiscale, "LE TASSE", in una frase, meglio se di getto.
Dopodichè vedremo se è possibile una sintesi tra le diverse defnizioni. Un punto di partenza.