martedì 30 dicembre 2008

This is the real terror - Gaza 27-12-2008

L'Asse del Bene reloaded

Semza parole per le stragi di questi giorni, vi ripropongo un mio post del 1 maggio 2008:

Il Tg1 è riuscito a superare sé stesso. Se perdo il mio tempo a riferirvi una “notizia” apparsa oggi tra il solito collage lobotomizzante vuol dire che forse anche il fondo è difficile da raggiungere. Immagino che si tratti dell’effetto monopolio: quel servo di Gianni Riotta si sta già ridimensionando (c’era qualcosa da ridimensionare?) e autocensurando, limando il suo inutile impasto di cani salvati da donne cieche, vecchie nullatenenti con un tesoro nascosto, surfisti sbranati da squali, il giallo della settimana, limandolo un po’ secondo i desideri del nuovo vecchio capo. Oh, chi si rivede, il Cavaliere. Ma non credo che l’intollerabile censura, figlia della “versione ufficiale” – leggi “la balla ufficiale” – che tappa la bocca a chi non sta dalla nostra parte sia anch’essa monopolio del pur potentissimo – che non si offenda – Silvio.

Raccontando delle celebrazioni dell’Olocausto (si direbbe che siano settimanali a volte) in Israele, l’inviato si è concesso una breve “digressione” di attualità. Dal cappello del mago-giornalista è spuntata l’Iran, e i rischi che Israele corre adesso, accerchiato dal Male: “Secondo un sondaggio, molti israeliani, per la maggior parte giovani, temono un secondo Olocausto”. Ma davvero? Che sondaggio? E soprattutto, Olocausto di chi?

Bisogna ammettere che la cosiddetta Asse del Male – quella mediorientale, da non confondere con quella sudamericana… – nei mesi scorsi non si è trattenuta. Minacce a Israele, sono arrivate da Al Quaeda, Hezbollah e dallo stesso Ahmadinejad.
Israele è nostro alleato nella guerra contro il Terrore, questa ne è l’ennesima dimostrazione. Il Terrore terrorizza Israele. Il Terrore, il Terrore. Giorno dopo giorno, bombardati da informazione faziosa e disonesta, sporche e striscianti menzogne incominciano a disegnarci un mondo più facile da capire, dove il terrorista è l’arabo. Sunniti, sciiti, dittatori, governi democraticamente eletti, troppo complicato da capire. Lasciate fare a loro. Hamas, legittimamente al potere, non prende parte ai negoziati. È come se nei prossimi anni si continuasse a dialogare con il governo Prodi. Ah, l’esportazione della democrazia. Hamas è inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche, and that’s it. Se non ci piaci, non esisti.
Eppure dall’inizio della seconda Intifada il numero delle vittime palestinesi è 5 volte superiore a quello delle vittime israeliane (fonte Afp), nella Striscia di Gaza il rispetto dei diritti umani è un’utopia, la metodica barbarie israeliana è intollerabile, e lo è da sempre. Il neologismo di Baruch Kimmerling rende l’idea: “con il termine politicidio intendo un processo che abbia, come fine ultimo, la dissoluzione del popolo palestinese in quanto legittima entità sul piano sociale, politico ed economico”. Sul piano sociale ed economico è sufficiente l’occupazione israeliana. Per quanto riguarda il piano politico, beh, lì i paesi occidentali corrono in soccorso di una politica intollerabile, delegittimando e demonizzando un partito democraticamente eletto come Hamas.
Eppure l’ex presidente americano Carter – non certo terrorista o comunista – in questi giorni non poteva essere più chiaro: bisogna parlare con Hamas. Il nostro ministro degli Esteri d’Alema lo ripete da anni. Per Carter, inoltre, senza il ritiro di Israele si prospettano solo due scenari. Il primo, rifiutato dalla stragrande maggioranza della popolazione ebraica, implicherebbe l'unificazione dell'intera Palestina in un solo stato. Il secondo scenario vede la cristallizzazione «di un sistema di apartheid con due popoli sulla stessa terra ma completamente separati uno dall'altro, con gli israeliani completamente dominanti che reprimono la violenza (che ne scaturisce, ndr) privando i palestinesi dei loro elementari diritti umani. Questa è la politica perseguita attualmente».

Un mese e mezzo fa il viceministro della Difesa israeliano ha minacciato i palestinesi di una “shoah” peggiore di quella che già conoscono, nel caso in cui fossero continuati i lanci di razzi qassam. La “smentita” è stata rapida, bien sûr: “shoah” significa non solo “olocausto” ma anche “catastrofe”. Penso che l’errata corrige si commenti da sola.

I nostri mezzi di comunicazione partecipano in massa a questa continua demonizzazione di tutto ciò che si autodetermina nel mondo arabo. L’ingerenza è la prassi, e a furia di farci bombardare finiamo per crederci. I cattivi sono gli altri. Come ha notato Travaglio, se “l’eroe Mangano” fosse spuntato in campagna elettorale del ’94, Berlusconi sarebbe stato massacrato al voto. 14 anni di bombardamenti mediatici sono capaci di smuovere un paese, di fargli “cambiare idea” anche sulla mafia.

E infatti di anni ne sono bastati 6 e mezzo. Iraq, Afghanistan, Iran, Palestina.
I massacri metodici di civili sono tollerati dall’opinione pubblica in nome della guerra al Terrore. Tanto questi civili sono arabi, ci fanno paura, sono diversi, sono cattivi. Se poi le bombe inseguono i terroristi in Somalia, massacrando anche lì, neanche ce ne accorgiamo. E poi, anche ce ne accorgessimo, nel Corno d’Africa non sono musulmani anche loro?

I buoni e i cattivi. “It’s very simple. If they do it is terrorism, if we do it is counter-terrorism. That’s a historical universal.” (Noam Chomsky)

You talk about tolerance and peace at a time when your soldiers perpetrate murder even against the weak and oppressed in our countries”. Alzi la mano chi sa chi ha pronunciato questa frase.

Forse bisognerebbe spiegare a quei tanti giovani israeliani che temono un secondo Olocausto – sempre che esistano – che ad azione segue reazione. La pace non si costruisce con le menzogne, egregio signor Riotta. Le uniche speranze di pace nei Territori Occupati sembrano essere legate a una continua azione di bloggers – israeliani e palestinesi – che si tengono in contatto, ignorando censure e repressioni. Le vere informazioni ormai sono alla portata di tutti. Difficili da reperire, sommerse da spazzatura. Ma un altro mondo è già disponibile, in rete.

Spegnete la televisione. Accendete il computer.

À propos, la frase è di Bin Laden.

sabato 6 dicembre 2008

Campagna Antirazzista "Oltre la Paura”


MERCOLEDI’ 10 DICEMBRE Presidio a Porta Susa h.18

    • NOI ABBIAMO SCELTO! STAI ANCHE TU DALLA PARTE DEI DIRITTI!

    “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate dalla Costituzione italiana e nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, senza distinzione alcuna di nazionalità, colore della pelle,sesso,lingua, religione,opinione politica,origine, condizioni economiche e sociali, nascita o altro.” Dichiarazione universale dei diritti umani. Art.1

    Ci appelliamo a tutti coloro che si definiscono democratici, che credono nella libertà e nell’eguaglianza, che guardano l’altro, anche se molto diverso da sé, con eguale dignità, che credono nella capacità di accoglienza anche quando questa deve superare i molti ostacoli della lingua e del bagaglio culturale. Le nostre migrazioni dal sud ce l’hanno dimostrato.

    Oggi più di quattro milioni di persone di origine straniera vivono in Italia. Si tratta in gran parte di lavoratrici e lavoratori che contribuiscono al benessere di questo Paese (il 6% della popolazione che contribuisce al 9% del PIL ) e che lentamente e faticosamente, sono entrati a far parte della nostra comunità.

    Persone spesso vittime di pregiudizi e usate come capri espiatori specialmente quando aumentano l’insicurezza economica e il disagio sociale, creando scientemente una vera e propria campagna basata sulla “PAURA”. Perché in questo momento di grave crisi economica in cui le risorse sono poche e da spartirsi tra tanti, l’altro diventa facilmente un avversario invece che un alleato nella propria stessa condizione, con il quale sentirsi solidale. Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di questa immagine.

    Partecipiamo numerosi l’appuntamento del 10 dicembre 2008, 60° anniversario della Dichiarazione dei diritti dell’uomo, e seguiamo con attenzione le tappe che verranno scandite nei prossimi mesi, per promuovere una società più giusta e più equa, capace di includere invece che offendere l'Altro, rompiamo l’accerchiamento della paura, facciamo sentire la nostra voce!!!

    Porta Susa Ore 18

    Interventi delle associazioni firmatarie dell’appello antirazzista

    Caldarroste per tutti

    Gadget e simboli della Campagna Antirazzista

    Asgi, Gruppo Abele, Vides Main, Ufficio Pastorale Migranti, Liberitutti, CIC coordinamento immigrati Cuneo, Cisv, Società Ricerca Formazione, Asai, Terra del Fuoco, ARCI Torino, Emmaus, Ass. Il Contesto ONLUS, Liceo Volta, S.I.S.T., Emergency Torino, UPI, Ass. Soomaaliya, CGIL Ufficio Migranti Torino, ACLI Torino, T.O.S.S., Gio.Com. - PRC, UISP Territoriale Ciriè Settimo Chivasso, Legambiente Piemonte e Valle d'Aosta, Ass. Bucovina

    Per informazioni: Rosanna Falsetta 3473891946 info@terradelfuoco.org

mercoledì 23 luglio 2008

Lettera da Ramallah

Prime impressioni da Ramallah

"Attenendosi ai titoloni apparsi sui quotidiani in questi giorni, sembra che la Pace in Medio Oriente non sia mai stata cosi vicina dai tempi di Oslo…chiaramente i nostri Capi di Stato gongolano all’idea di prendere parte alla soluzione del conflitto rilasciando dichiarazioni di giubilo dai contenuti ad effetto ma sono soprattutto i leader delle parti in causa, Abbas e Olmert, a Parigi in occasione del summit per la nascita dell’Unione per il Mediterraneo, ad alimentare la speranza di un accordo ormai alle porte..

A questo punto mi chiedo…ma di quale pace stiamo parlando???

Sono in Israele/Palestina, con base fissa a Ramallah, da quasi venti giorni ormai ed è forse la prima volta che davvero mi rendo conto di quanto possano discostarsi le dichiarazioni dei politici e l’informazione più in generale dalla realtà sul terreno, da ciò che è impossibile non vedere e non sentire una volta che si è qui...
La risoluzione del conflitto sembra essere oggi quasi inconcepibile se si fa una rapida analisi della situazione.. la “two states solution” che sembrava andare per la maggiore da Oslo in poi, anche prima ma in termini diversi, ha perso tutta la sua credibilità con il piano di azione Israeliano che tramite la costruzione del muro, il cui tracciato com’è noto si addentra ben oltre la green line sancita nel 1967 andando letteralmente a circondare le più grandi città palestinesi, la presenza dei checkpoints (circa 730 nella West Bank) e il proliferare delle colonie ha frammentato territorialmente, socialmente e politicamente quel che resta del popolo palestinese rendendo tecnicamente impossibile il sorgere di uno stato.. per non parlare poi del problema dei rifugiati palestinesi, più di 4 milioni in tutto il mondo, che rivendicano il loro diritto al ritorno e della questione di Gerusalemme Est... “alla Two States solution ci credono solo più Bush, Olmert e Abbas” mi ha ironicamente ricordato un ricercatore palestinese che ho incontrato pochi giorni fa..
Torna quindi in auge la “One state solution”... creazione di uno stato unico dove israeliani e palestinesi possano vivere in pace… prospettiva allettante sì, ma impossibile da mettere in pratica se si considera, tra la miriade di altri ostacoli, che Israele è uno stato confessionale che si fonda su una popolazione a maggioranza ebraica, maggioranza che si perderebbe integrando i palestinesi dei Territori Occupati..

Quello che si percepisce qui è che una pace giusta non è neppure concepibile per il semplice fatto che Israele non la vuole e continua, con tutti i mezzi a sua disposizione a rendere la vita dei Palestinesi dei Territori Occupati impossibile con l’obiettivo, più o meno nascosto, di annientare politicamente e socialmente questo popolo ed eliminare quindi “il problema”..

L’impatto con la realtà di qui è stato brutale e non facile da digerire ma allo stesso tempo mi ha fornito un ulteriore stimolo per cercare di rendere questa realta il più visibile possibile, agli occhi di chi vuole vedere, ovviamente."

S.d.B.

martedì 15 luglio 2008

lunedì 14 luglio 2008

Comitato NO POG/ROM


Un’ondata di xenofobia sta travolgendo l’Italia. La nuova politica delle “emergenze” ha creato e sta ora banalizzando la diffusione di ideologie razziste.

Le comunità Rom e Sinti sono, ancora una volta, il capro espiatorio, la valvola di sfogo della rabbia dettata da un’ incertezza sempre più diffusa, dalla richiesta collettiva di più “sicurezza”. La nuova egemonia culturale che si è fatta largo in questi anni tollera ormai atteggiamenti di indubbia deriva razzista.
Le aggressioni agli insediamenti rom (dalla Napoli dei rifiuti alla Milano da bere), le deportazioni, i roghi degenerati in veri e propri pogrom e le discriminazioni quotidiane in spazi pubblici sono solo la punta di un iceberg.
La deriva xenofoba e allarmistica dei mass media concede un altoparlante all’isteria collettiva, sfruttata dalla politica per cavalcare l’onda della “sicurezza” proponendo drastiche soluzioni all’insegna della continua “emergenza”, senza guardare alla complessità dei problemi e, soprattutto, ignorando del tutto i diritti e la sicurezza dei Rom.

No pog/rom nasce come collettivo di donne e uomini indignati dalla piega che il dibattito pubblico ha preso. Le misure discriminatorie proposte dalle istituzioni, i rastrellamenti, la schedatura dei gruppi etnici, il diffuso e consolidato pregiudizio che bolla la marginalità sociale chiamandola propensione genetica (e in questo caso etnica) al crimine, rievocano spettri di un passato intollerabile e promettono un’escalation di violenze che è assolutamente necessario fermare.

No pog/rom riunisce persone che, attraverso esperienze dirette con le comunità Rom, sono state testimoni di una realtà ben diversa dalla stereotipata rappresentazione dell’ “opinione pubblica” strillata da politici e giornali. Una rappresentazione fasulla, lontana dalla quotidianità, che trova nelle sue reazioni razziste una risposta a problematiche di ben altra complessità, prima su tutte l’insicurezza sociale.

L’intento di No pog/rom è di promuovere un dibattito per portare alla luce le diverse culture rom, insiemi organici di usi e valori con dignità propria, in grado, di relazionarsi alla nostra cultura.

No pog/rom è una reazione. Quando si verificano episodi di discriminazione verso l’altro, la rabbia e lo sdegno non devono spegnersi nella frustrazione, ma nel bisogno di urlare la propria condanna. I processi di diffusione del pregiudizio razzista devono essere individuati, arrestati e trasformati in disponibilità al confronto e alla comprensione reciproca. No pog/rom è una reazione per trasformare il circolo vizioso in virtuoso.

Lanciamo il nostro appello alla società civile perché si attivi – senza indugi, e nessuno escluso – per contrapporsi al brutale attacco che i media, il governo e le istituzioni stanno riversando sui Rom.
L’obiettivo primo del comitato è creare una rete di (contro)informazione, intesa sia come reazione all’egemonia culturale xenofoba, che come creazione di nuovi contenuti. No pog/rom vuole diventare espressione di un diverso livello di contrapposizione sociale, che promuova le culture e i processi di conoscenza

Non siamo terzo settore, non siamo politica, non siamo sindacato, non siamo istituzione, siamo la società che vuole essere davvero “civile”.

Per info : http://www.noprogrom.info/

sabato 5 luglio 2008

Resistiamo

Morire

Primavera – Estate 2008. La sinistra è spazzata via dal panorama politico italiano, ridotta a una guerra tra bande extraparlamentari. La sconfitta è il risultato di un crollo verticale della credibilità della proposta politica e della classe dirigente di sinistra, e della visione del mondo ad essa collegata.

Vogliamo innanzitutto assumere questo dato di fatto, senza attenuanti.

Capire

L’Italia è in balia di un bipartitismo populista imposto dall’alto, che trova la sua legittimazione in una “politica delle emergenze” che sfrutta le paure – reali o create, e dunque percepite – per calpestare diritti fondamentali, forte del controllo pressoché totale dei mass media. Nella nuova società dell’incertezza i nostri primi interlocutori devono essere quei settori che incominciano a percepirsi come ultima ruota del carro ricco, e che la paura di essere risucchiati nella povertà rende disponibili a qualunque cosa pur di restare a galla.

La nostra prima battaglia deve essere opporsi a ogni forma di manipolazione delle informazioni, dalla selezione al “prodotto finito”, un’opera costante di (contro)informazione. Per opporsi alla nuova egemonia culturale di destra è assolutamente necessario saper innanzitutto leggere il reale per comprenderlo, e poi offrirne un’interpretazione. Proporre parlando un nuovo linguaggio. Massimo di contenuto, minima complessità linguistica.

La risposta politica deve partire dal sapere.

Vogliamo partecipare al processo virtuoso, ora in atto in molte realtà della penisola e non solo, di produzione di una nuova voce, un “fare politica” che sappia parlare trasversalmente alla società.

Ricostruire un pensiero politico è il nostro obiettivo, la nostra ambizione. Senza sottrarsi ai conflitti, che si presenteranno con sempre maggiore urgenza.

Ricostruire

Agire per capire è il nostro metodo. Vivere un’esperienza originale di “fare politica” partendo dal basso. Forti degli irrinunciabili contributi che ogni esperienza politica, associazionistica, intellettuale, individuale o collettiva, porta all’interno del collettivo. Ripartire dall’umiltà. La storia della sinistra è il nostro bagaglio, ma per poter articolare una risposta prima culturale e poi politica all’oggi, un’alternativa, dobbiamo re-interpretare ogni situazione con tutti gli strumenti a nostra disposizione, trovare nuove sintesi e nuove soluzioni.

Vogliamo produrre un pensiero politico
che abbia come condizione necessaria una visione della società a lungo termine, ma che sappia rispondere velocemente, con onestà intellettuale e concretezza, alle “emergenze” del quotidiano, alla politica della paura e ai profondi cambiamenti che stanno stravolgendo il mondo.

Vogliamo potenziare l’iniziativa popolare e la capacità di reagire del “basso”. E per far questa dobbiamo andare a ricostruire il popolo della sinistra, e scovare le nuove urgenze, rendendoci capaci di proporre nuovi approcci a problemi irrisolvibili se affrontati con superficialità e dogmatismi.

Nascere

Il nostro obiettivo è contribuire a riformulare una proposta politica di sinistra per la libertà e l’autodeterminazione delle donne e degli uomini, l’uguaglianza sociale, la pace, il pianeta. Per dare a ciascuno una speranza di realizzabilità di un’alternativa a un mondo di squali, all’ormai radicato pensiero unico che dipinge se stesso come unica lettura possibile del reale. Se stesso come unica alternativa possibile a se stesso.

Collettivo Marcovaldo Jacopo 3292265717, Carlo 333 2300584

Ma quale sicurezza?

Il Governo Berlusconi, sull’onda di una dichiarata urgenza di sicurezza del Paese, ha approntato una serie di misure legislative volte a colpire la “piaga” dell’immigrazione clandestina. Dietro c’è un teorema del genere: illegalità e insicurezza si misurano in termini di microcriminalità e quest’ultima, a sua volta, diventa sinonimo di immigrazione. Il delinquente e il clandestino coincidono. Il decreto-legge datato 23 maggio è già in vigore e, oltre a inasprire le disposizioni relative all’espulsione dello straniero come misura di sicurezza sociale, prevede l’introduzione dell’aggravante di clandestinità (se a commettere un reato è un clandestino la pena prevista per quel delitto sarà aumentata fino a un terzo) e la reclusione da sei mesi a tre anni unita alla confisca dell’immobile per chi affitti un alloggio a uno straniero irregolare. E’ già pronto un disegno di legge che introduce il reato di clandestinità, spalancando le porte del carcere a chi entra irregolarmente in Italia, e rende ancora più tortuoso l’iter per ottenere la cittadinanza italiana. La detenzione nei Centri di Permanenza Temporanea potrà inoltre protrarsi fino a 18 mesi, contro i 60 giorni attuali.

Noi invece crediamo che:
1. se davvero esiste un “problema sicurezza”, sia errato, ipocrita e strumentale porlo in termini di immigrazione. Un problema c’è eccome su questo versante e riguarda il circuito di illegalità cui sono costretti i clandestini: lo straniero irregolare è posto ai margini della società, dove ogni possibilità di integrazione e ogni forma di sostentamento che non derivi dalla delinquenza gli sono negate. La dimostrazione del fatto che l’equazione straniero = delinquente sia falsa è contenuta nei dati del Ministero, secondo cui gli immigrati regolarizzati presentano livelli di delinquenza uguali o inferiori a quelli degli Italiani. Integrare gli irregolari, piuttosto che limitare ulteriormente gli strumenti legali per vivere in Italia, è dunque l’unica risposta al fenomeno inarrestabile delle migrazioni. Chiudere le frontiere e aprire le carceri rappresentano soluzioni demagogiche e illusorie, buone a prendere voti facendo leva sulle paure indotte e i sentimenti xenofobi degli italiani, utili a far passare fra le priorità del momento la solita legge truffa che sottrae alla giustizia il primo e più recidivo delinquente del nostro Paese, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi.
2. vi siano tanti fattori che rendono le nostre vite insicure, ma questi vengono deliberatamente aggirati dalla prassi e dalla retorica politica. Mentre tv e giornali alimentano la caccia alle streghe, le destre vogliono farci chiudere gli occhi su questioni che a noi, giovani donne e uomini, paiono quanto mai reali e urgenti. Sulle nostre vere paure.

SÌ, ABBIAMO PAURA:
abbiamo paura che il nostro titolo di studi non valga niente; siamo costretti a tirocini infiniti, sottopagati (se va bene) e senza diritti; non abbiamo alcuna fiducia nelle istituzioni, nella liceità dei concorsi pubblici, nell’onestà dei dirigenti statali; siamo quasi assuefatti al potere della mafia su intere regioni del nostro Paese; se omosessuali, siamo discriminati e subiamo tutte le umiliazioni di una società intollerante; se donne, siamo soggette a un maschilismo imperante, che esercita abusi continui e quotidiane violenze di genere. Tutti ci scopriamo a temere per la sopravvivenza della nostra democrazia, per l’instabilità delle relazioni internazionali, per la riduzione del nostro pianeta a un bene a tempo determinato.
Questa è l’emergenza sicurezza che vorremmo venisse affrontata, questi i temi che crediamo dovrebbero fare notizia sui mass-media, senza che si tenti di convincerci che il problema siano dei disperati che sbarcano a Lampedusa o che qualche rom in meno a chiedere l’elemosina possa migliorare le qualità delle nostre vite.

SE LA PENSI COME NOI, ADERISCI AL PRESIDIO DI MARTEDI’ 8 LUGLIO, IN PIAZZA CASTELLO ANGOLO VIA GARIBALDI, H 18, 00. In concomitanza con la manifestazione di P.zza Navona a Roma.

Collettivo Marcovaldo
Jacopo 3292265717, Carlo 333 2300584, Emiliano 333 5268665

mercoledì 18 giugno 2008

A Torino

Diffondo. Senza parole.
Invio a tutti voi il racconto di un episodio a dir poco imbarazzante per le forze dell'ordine e rivelatore del clima che aleggia nei confronti dei nomadi presenti sul territorio. Venerdì sera alle ore 19.30 circa due carabinieri hanno fermato un ragazzo minorenne di etnia rom durante 'un normale controllo' in un parco rionale di Torino. Quello che non è normale è che il ragazzo, che risiede in una struttura di accoglienza, è stato ammanettato dietro la schiena con violenza, presi a pugni e sbattuto più volte con violenza contro il muro semplicemente perché NON IN POSSESSO DI DOCUMENTO IDENTIFICATIVO. I carabinieri si sono limitati a portare il ragazzo presso la struttura di accoglienza (dove peraltro sta effettuando un percorso di reinserimento all'interno della società con buoni risultati), richiedere conferma dell'identità del ragazzo ed i documenti dell'operatore presente, commentare l'episodio con frasi come "Verrà segnalato il fatto a chi di dovere", "Ora il clima è cambiato, vi facciamo chiudere", "La prossima volta che lo troviamo senza documenti lo arrestiamo per resistenza a pubblic ufficiale", "I ragazzi italiani non hanno strutture come queste", frasi che denotano atteggiamenti stereotipati, razzisti ed ignoranti. Se ne sono andati SENZA AVER LASCIATO UN VERBALE, cercando quindi di non lasciare tracce. Evidentemente non sono bastate le rassicurazioni delle altre persone presenti al parco che hanno spiegato la provenienza del giovane e le sue difficoltà linguistiche, le continue richieste di spiegazioni dell'operatore e l'evidente non pericolosità del ragazzo per preservarlo da un trattamento che indica una chiara volontà politica di intimidazione nei confronti dei diversi. Provate a pensare se vostro figlio, al parco, senza documenti perché li ha dimenticati a casa o perché ha meno di 15 anni, ricevesse un trattammento simile e vi fosse riportato a casa ammanettato e picchiato, con due energumeni che sbraitano frasi come 'Non c'è più rispetto per la divisa che porto' e ancora 'Dovreste insegnare l'educazione a vostro figlio'. La domanda che pongo a tutti è: Quale sarebbe la vostra reazione? Non credo solo indignazione, credo anche denuncia e mobilitazione. Ed è proprio quello che dovremmo fare tutti insieme: denunciare il clima, i mandanti (visti gli episodi di questi giorni non mi sembra sia un caso isolato) e gli esecutori, nonché mobilitarci e far sentire la nostra voce per porre fine a questi vergognosi abusi.

lunedì 16 giugno 2008

(contro)informazione

Un quadro sconcertante.
Ho monitorato i numeri de La Stampa da domenica 1 a mercoledì 11 e di Torino Cronaca Qui tra mercoledì 4 e mercoledì 11 (domenica e lunedì non esce), e ho analizzato ogni articolo che si è occupato, anche solo di sfuggita, della questione rom, alla ricerca di radici vive dello xenofobissimo “senso comune” che stiamo respirando. Appestato razzismo di massa.
Odore di vergogna.
Il giudizio sugli articoli “in sé” non è terrificante. I rari pezzi che toccano o sfiorano l’argomento cercano – soprattutto su La Stampa – di avere almeno una parvenza di “obiettività”. Ma è d’obbligo premettere che è quasi del tutto assente ogni traccia di indignazione, il che rende colpevoli senza appello le due testate. Torino Cronaca e La Stampa non fanno altro che rendersi cassa di risonanza al servizio della becera propaganda xenofoba: strilli allarmistici al servizio di misure populiste, inutili e dannose. Ma analizziamo gli articoli uno per uno. Ovviamente i lettori sono invitati a farmi notare ogni eventuale imprecisione.

La Stampa di martedì 3 giugno (p. 5) titola: Choc al Palazzo di vetro per i roghi dei campi rom. Nonostante il titolo l’articolo liquida velocemente lo shock di Louise Arbour, Alto commissario dell’Onu per i diritti umani, per le aggressioni ai rom: “il primo motivo è molto personale ed ha a che vedere con i sentimenti personali della Arbour”. Il pezzo di dilunga poi sulle buone ragioni per mettere in discussione invece le nuove norme restrittive sulla richiesta di asilo. Dei roghi ognuno può pensare quello che vuole, sembra sottintendere Maurizio Molinari da New York. Cominciamo bene.
Troviamo poi (p. 55) la solita sentenza di condanna senza appello: “Quel campo rom è da sgomberare”. Beppe Minello firma un breve pezzo il cui senso profondo si può riassumere in una delle frasi iniziali: “stroncare l’illegalità senza ricorrere alle ruspe”. No alle ruspe, sì agli sgomberi.

È mercoledì 4 che ci si cala nel nocciolo della sicurezza. Torino Cronaca titola (p. 14): MONCALIERI. Quinto furto in pochi mesi in un circolo di borgata Tetti Rolle. Duro sfogo della proprietaria. “Il centro anziani ostaggio degli zingariMa i problemi sono anche altri: “Questa è terra di nessuno, i nomadi si comportano da padroni”.
La didascalia del riquadro con la foto della proprietaria del centro titola: DISPERATA. L’articolo racconta la vita impossibile di una signora argentina che da diversi mesi gestisce un centro d’incontro per gli anziani della zona. Al di là dell’indubbia matrice xenofoba del titolo, l’articolo di Massimiliano Rambaldi racconta una vita obbiettivamente difficile. Io non conosco i fatti, e prendo per buone le notizie riferite.

Colpisce però il fatto che il giorno stesso, sempre a Moncalieri, un episodio di intollerabile gravità ha movimentato la vita del 67. Ce lo ha riferito Almaterra. Per sfortuna della redazione di Torino Cronaca, non è difficile notare come nel numero del 5 giugno non ci sia traccia della notizia. L’unico accenno a “stranieri e sicurezza” sarà il titolo in prima pagina a caratteri cubitali: 10MILA CASE DA SEQUESTRARE. SONO I RIFUGI DEI CLANDESTINI. Ovviamente l’articolo metterà in parte in evidenza come i clandestini siano vittime della situazione, ma il titolo (e sappiamo quanta potenza comunicativa può avere) avrebbe potuto risparmiarsi la parola RIFUGI, che ci ricorda come in questo momento i clandestini siano come delle bestie, braccate. Da noi.

Riporto qua la segnalazione di Almaterra:

Torino, 04 giugno 2008
Vogliamo denunciare un grave episodio, accaduto questa mattina, di cui è stata testimone una Mediatrice interculturale di Moncalieri. Alle 08:30 circa, sul bus 67 (capolinea di Moncalieri), pieno di gente che a quell’ora è diretta a scuola o a lavoro, è salita una pattuglia della polizia, ha intimato a tutti gli stranieri di scendere, ha diviso maschi e femmine con bambini, ha chiesto il permesso di soggiorno.
Molte persone avevano con sé solo la carta di identità italiana, altri il permesso di soggiorno, altri ancora né l’uno né l’altro.
Tutto l’episodio si è svolto accompagnato da frasi quali : “non ce ne frega niente della vostra carta di identità italiana” , “è finita la pacchia”, “l’Italia non è più il Paese delle meraviglie”.
Gli agenti hanno fatto salire tutti gli uomini su un cellulare, solo un uomo marocchino, mostrando la carta di identità italiana, si è rifiutato di salire, chiedendo di che cosa veniva accusato e che avrebbe fatto riferimento al suo avvocato. Gli agenti l’hanno lasciato andare.
Nessuno dei passeggeri rimasti sull’autobus è intervenuto, anzi, molte delle persone presenti, anche sui balconi delle case intorno e sui marciapiedi, hanno applaudito.
Ci aspettiamo che venga fatta chiarezza e che non si ripeta mai più un simile episodio in un Paese che si dichiara civile e democratico.


La Stampa riferirà invece l’episodio domenica 8 giugno, inspiegabilmente, sostenendo che il fatto risale a venerdì 6. Secondo Almaterra il tutto è avvenuto mercoledì 4. Io credo ad Almaterra e non a La Stampa: l’email mi è arrivata giovedì 5. Comunque. Dettagli.

Su La Stampa di mercoledì 4 un articolo (p. 4) titola “Barricate a Mestre”. Il pezzo è relativamente equidistante, e per quanto dare il beneficio dell’imparzialità alla “bufera su Cacciari” leghista e xenofoba sia già di per sé deprecabile, la giornalista Anna Sandri evita almeno di schierarsi con la reazione antidemocratica alle decisioni del sindaco.
A pagina 62, l’articolo di A. Giamo e M. Peggio ci riporta ai furti “zingari”. Banda del rame in trappola al cimitero di Lombriasco. Arrestato un giovane, denunciati i suoi due complici. Nessun accenno alla nazionalità – italiana – dei rei. Speculare all’articolo di Andrea Bucci su Torino Cronaca di venerdì 6 giugno (pagina 19): “Riciclavano” il rame rubato. Denunciata un’imprenditrice. Sottolineo come il titolo non dica: “denunciata un’imprenditrice italiana”, mentre quando i colpi – banda del rame, delle ville, o n’importe – sono commessi da “bande” straniere o rom, questo viene sempre messo in evidenza. È assolutamente necessario, sulla scia della scelta politica della Spagna di Zapatero per quanto riguarda la violenza di genere (riportata senza accenno alla nazionalità del reo), mettere in atto feroci pressioni – lettere, proteste, manifestazioni, telefonate – sui giornali per una necessaria equidistanza, almeno nei titoli, dalla nazionalità del colpevole. Sarà una dura battaglia, anche perché di questi allarmismi xenofobi si nutre la free (o quasi-free come Torino Cronaca) press. Ma è una battaglia da combattere.

Vi segnalo inoltre una curiosità: spulciando i giornali alla ricerca di articoli su rom e clandestini, sono finito sullo Specchio dei Tempi e ho letto: “Cacciate la zingara vulgaris”. In realtà c’era scritto “Cacciate la zanzara vulgaris”. Esempio di pubblicità subliminale?

Su Torino Cronaca di venerdì 6 giugno (p. 11) ho trovato l’unico articolo (Erica Di Blasi) di tutta la settimana che tratta in maniera “generale” la questione sicurezza, in realtà remando contro i media a tiratura nazionale, che a colpi di “emergenza sicurezza” alimentano le paure. Sembra che sulla spazzatura locale funzioni tutto al contrario: un bombardamento di cronaca nera, sottolineando sempre se l’autore del crimine è straniero o nomade, e selezionando le notizie in base a questo. Come ho detto sopra, è assolutamente necessario “tallonare” l’informazione spazzatura chiedendo spiegazioni sulla priorità “xenofoba” data alle notizie.
Sullo stesso numero di Torino Cronaca, un riquadro in basso a destra narra brevemente un episodio avvenuto a San Carlo: la breve fuga di due nomadi, presi in fretta dai carabinieri. Inseguimento di nomadi a folle velocità. L’articolo di a.p. (?) termina così: “Quando sono stati intercettati è possibile che i due stessero tentando un furto in qualche abitazione di San Carlo. Furto che l’arrivo provvidenziale dei carabinieri ha di fatto sventato”. La possibilità diventa certezza. I pregiudizi diventano crimini sventati. Di fatto.
Ma è tra le LETTERE al direttore (p. 29), ho trovato l’agghiacciante “sfogo di un disabile”: A questo punto voglio diventare rom. Ogni commento è inutile. Vi cito solo una delle ultime frasi della lettera: “Allora mi dico: meglio diventare un rom o extracomunitario, così avrò anch’io una casa, e un vitalizio giornaliero come hanno loro…” Stefano Cauda è il “Torinese Doc” disabile che ha scritto la lettera. Siamo al delirio.

La Stampa di sabato 7 giugno, già in seconda pagina ci regala una chicca del nostro – oops, scusate, vostro – premier. Una delle citazioni riportate sull’incontro tra Berlusconi e il Papa, ci riporta l’eco della simpatica voce del Cavaliere: “Noi siamo dalla parte della Chiesa, crediamo nei valori di solidarietà, giustizia, tolleranza, rispetto e amore dei più deboli”. No comment.
Il quotidiano torinese titola inoltre a pagina 7: Primo blitz all’alba per censire i Rom. Riportando le imprese di trenta agenti nel campo nomadi di via Impastato, il pezzo dice: “doveva essere un censimento, hanno detto che sembrava un rastrellamento”. Successivamente, nell’intervista al prefetto Lombardi, il giornalista lo mette in difficoltà con domande mirate. Tra tutti gli articoli di cronaca da me analizzati su Stampa e Torino Cronaca mi è sembrato il più serio e ben fatto. Il 7 giugno va comunque ricordato come – raro – momento di vero giornalismo, ossia anche di denuncia, su La Stampa, segnalo soprattutto: “Se lo stupro ha marchio italiano” di Ferdinando Camon, a pagina 35.

Sempre sabato Torino Cronaca non esita a occuparsi di rom (p. 8): SICUREZZA. E Chiamparino chiede ancora aiuto a Roma. Allarme di Borgogno: “è emergenza rom in lungo Stura Lazio”. L’assessore vuole un intervento immediato: “Situazione insostenibile, vicina al collasso”. L’articolo è una bella abbaiata semixenofoba, ma la cosa che colpisce, a parte il titolo “allarmistico”, è come le interviste all’interno del pezzo siano solo ad esponenti di AN, Forza Italia e Lega, fatto peraltro serenamente normale su Torino Cronaca.

Martedì 10 giugno, Torino Cronaca (p. 17) riferisce un episodio accaduto a Pinerolo: Furto al supermarket, nomadi arrestate. “Due sorelle del campo nomadi di via San Pietro Val Lemina, Elisa e Custa Demetrio, sono state arrestate per un furto di generi alimentari nei supermercati Gulliver e Ekom di Tortona (Al). La refurtiva, per un valore complessivo di 300 euro, è stata recuperata”, recita l’articolo. Mi chiedo, come ho accennato sopra, se gli stessi furti vengono riportati quando a commetterli è un italiano.

L’unica vera bella notizia in 17 quotidiani (6 Torino Cronaca, 11 Stampa), l’ho trovata su La Stampa di martedì 10 giugno, a pagina 41:

Fummo tutti nomadi (Arrigo Levi)
“A quanto sembra» - ha scritto questo giornale, che ha giusta fama di credibilità - la candidatura a nuovo vicegerente del vicario del Papa per la diocesi di Roma di monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, esponente della Comunità di Sant’Egidio, è stata scartata, pur essendo stata «ripetutamente richiesta dalla base ecclesiale». E la ragione sarebbe che Sant’Egidio dimostra «troppe simpatie per i rom» e per gli extracomunitari. Non sono in grado di confermare, ancorché vecchio amico di don Vincenzo (se le cose siano andate così, e se effettivamente gli verrà preferito un altro degnissimo sacerdote, monsignor Marcello Semeraro, vescovo di Albano, vicino ai Focolarini). Debbo fra l’altro a un suggerimento degli amici di Sant’Egidio se il cardinale Ruini, ora vicario uscente del Papa nella diocesi romana (a cui mi legano sentimenti di stima), mi volle come dialogante laico sul tema della fede con il cardinale Biffi, dall’altare della Cattedrale di Roma, San Giovanni in Laterano: e fu un’esperienza emozionante. Se ho qualche dubbio sulla notizia del «siluramento» dall’alto di don Paglia è solo perché, negli stessi anni in cui l’eminenza Ruini, ancora assai influente, fu «vicario del vicario di Cristo», mons. Paglia fu ambasciatore viaggiante di Giovanni Paolo II a Mosca, a Bucarest e in altre capitali ortodosse; e so che fra i due vi è rispetto e amicizia. Quello che è fuori dubbio è che la Comunità di Sant’Egidio è dal lontano 1982 impegnata nell’assistenza ai rom e agli extracomunitari di Roma; e che nella loro presenza, come è stato scritto su questo nostro giornale, essa «vede solo sfide pastorali e sociali e non minacce». Lo conferma ancora una volta il libro Il caso zingari (ed. Leonardo International) che comprende scritti di Andrea Riccardi, Marco Impaglazzo, Amos Luzzatto, Giovanni Maria Flick, Paolo Morozzo della Rocca e Gabriele Rigano. Questo libro ho presentato qualche tempo fa, insieme col cardinale Crescenzio Sepe, vescovo di Napoli. Questi ha fra l’altro fatto notare che a zingari ed extracomunitari prestano (purtroppo) concreta assistenza la Chiesa e i suoi movimenti, più dello Stato e delle sue istituzioni. Quanto alle popolazioni delle periferie a più diretto contatto con gli zingari, esse hanno nei loro confronti atteggiamenti contraddittori: sono (cito il card. Sepe) «quelle più sensibili all’apertura all’altro, anche se nello stesso tempo hanno mostrato la più totale chiusura, fino alla violenza». Lo hanno provato ancora una volta le reazioni al progetto di costruire un decente campo residenziale per i Sinti di Mestre, cui si oppongono violentemente i leghisti. A un autorevole senatore loro simpatizzante si dovrebbe questa battuta: «Sono nomadi, o no? Perciò devono fermarsi nelle città solo per brevi periodi». Condannati, cioè, ad essere nomadi, senza possibilità di trovare lavori rispettabili, anche se aspirano solo ad integrarsi pacificamente in una città dove risiedono da decenni, essendo tra l’altro molti di loro, come una buona parte degli zingari oggi in Italia, cittadini italiani! Ma questo è impossibile se non si creano condizioni di vita accettabili, con la possibilità di mandare regolarmente a scuola i loro bambini, che così domani saranno rispettati cittadini, come hanno diritto di diventare. Parlando degli zingari, ammetto di avere anch’io, come ebreo, un pregiudizio (nel mio caso favorevole) nei loro confronti. Non posso dimenticare che nei lager nazisti, insieme con sei milioni di ebrei, furono sterminati anche centinaia di migliaia di zingari. Se gli zingari sono o furono nomadi, lo furono anche molti miei antenati per effetto delle persecuzioni subite in quanto «diversi». La cosa di cui non mi do ragione è che tanti italiani abbiano dimenticato le discriminazioni, le accuse di essere sporchi, ladri e criminali, di cui furono bersaglio tanti nostri compatrioti, costretti, tra l’Otto e il Novecento, a emigrare. (E non fu dapprincipio molto più favorevole l’accoglienza all’ondata di immigranti dal Sud nel dopoguerra, nel civilissimo Piemonte. Lo ricordate? Col tempo, i pregiudizi scomparvero e gli immigrati divennero bravi piemontesi, come tutti gli altri). Ora l’Italia è ricca, ed è diventata da terra d’emigranti terra d’immigrazione. Ma come possiamo dimenticare che anche noi fummo, almeno per un periodo, un poco zingari? Come non nutrire comprensione per coloro che lo sono ancora? Come non impegnarsi per favorire, e non ostacolare, un loro insediamento stabile, oltre che per loro, per i loro figli?

Le belle notizie vanno riportate per intero.
Questo editoriale, insieme a “Mali sociali, debole voce dei vescovi” (Franco Garelli, domenica 8 giugno, che non si riferisce però ai rom), ma con molta più forza, è l’unica denuncia indignata all’“atmosfera pogrom” che si sta respirando nella penisola in queste settimane.

Segnalate sul blog ogni caso di disinformazione.

È con infinita tristezza che prendo atto della realtà. In 11 giorni di Stampa (80-90 pagine ogni numero), un solo articolo che si schiera senza se e senza ma contro pogrom e contro questo clima di intollerabile intolleranza.

Un silenzio assordante.

venerdì 6 giugno 2008

In movimento

Imperdonabile la lunghissima assenza dal blog.

Cerco di farmi perdonare condividendo parte del mio percorso di queste settimane. Stiamo imbastendo un’associazione – per adesso ancora senza nome – che sappia proporre una risposta soddisfacente, o partecipare al concerto di risposte che bolle in pentola, al vuoto di rappresentanza che si è creato. Politica e cultura.
Siamo presto passati all’azione, c’est-à-dire autoformazione soprattutto, sul caldissimo tema del momento: Il Pacchetto Sicurezza. Inutile dirvi che molte realtà se ne stanno occupando, dall’ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, http://www.asgi.it/ ) in poi. In queste settimane stracolmi di dovere universitario ho pubblicato sporadicamente qualche articolo sulla questione, nei prossimi giorni cercherò di proporvi una ragionata selezione sull’argomento. Per il momento rendo qui pubblica i miei sunti delle ultime due riunioni di questa nascente associazione.
Chi fosse interessato alla questione non esiti a contattarmi via mail (carlogreppi@gmail.com) o sul blog. We need you all.

27/05/2008 (risparmio al blog alcune informazioni “operative”)

Amici, compagni.
Un breve sunto del nostro incontro di ieri sera.

Questa volta abbiamo sorvolato le questioni “teorico-politiche”, che poi tanto teoriche non sono, per andare a sviscerare una problematica specifica di urgente attualità.
Tralasciando il discorso non-violenza, appena accennato, siamo arrivati in fretta alla conclusione che, evitando deliri della ragione, non possiamo ignorare che la violenza sia strutturale, oggi comme toujours. La percezione – e conseguente analisi – distorta della violenza è dovuta in gran parte alla disinformazione, statistiche falsate, titoli allarmistici. Ma la responsabilità di questa strumentalizzazione della violenza è innanzitutto – perdonate l’ovvietà – politica: del governo Berlusconi e della sua Ombra. Di anni all’insegna di un paradigma egemonico.

La “propaganda” – permettetemi le approssimazioni – bipartisan ha individuato da mesi nell’“altro” il capro espiatorio responsabile di questa violenza. “Sicurezza” è diventato antonimo di “immigrato clandestino delinquente”, e a poco sono serviti i timidi richiami – in parte della sinistra radicale ora extraparlamentare – alla “sicurezza sul lavoro”, alla diffusione dell’illegalità e ai suoi legami con lo Stato, alle altre “violenze”, quella di genere, quella xenofoba, quella omofoba (parola oltretutto inesistente per Word – grazie Bill).

Parlando di illegalità e di violenza, e delle loro reali radici, si andrebbero infatti a minare le fondamenta stessa del “sistema”: le mafie e le loro ragnatele, la criminalità economica e finanziaria, la politica corrotta, gli stupri domestici, la “self-made justice”, lo sfruttamento degli irregolari. Il dito sarebbe puntato contro ognuno di noi. Se la mancanza di sicurezza è individuabile nella – senza dubbio diffusa – microcriminalità degli stranieri il gioco è fatto.

È il Lexotan della nostra ansia, la risposta alla “paura”. È una paura diffusa trasversalmente, che è necessario saper leggere a partire dalle nostre repellenti reazioni irrazionali. E in un circolo vizioso, la “paura” reale è stata creata, quella percepita creata a tavolino chissà quando. È sempre stato così, dice qualcuno. E gli ultimi integrati saranno i più agguerriti.

Abbiamo deciso di scendere in campo, per non lasciare che l’egemonia bipartitica finisca di divorare le alterità tra slogan xenofobi, retate, ronde e “pacchetti sicurezza”. Innanzitutto è necessario sganciare questa “paura” dall’immigrato. E in questo – come negli steps successivi – il nostro sarà un agire politico, non un assistenzialismo volontario “fine a sé stesso”, quanto un’opera volta alla riconquista di un’egemonia culturale e politica. Bisogna essere creativi, percorrere strade nuove. Per il momento, stiamo cercando di essere programmatici su quelle vecchie.
“Incontro con esperto”. Tema: sicurezza (versante immigrazione, approccio giuridico).

Poi, qualche pattuglia – o gruppo di lavoro (background che vai, denominazione che trovi).

Più che riferire idee sentite stasera e buttarne giù di mie, ahimè non so cosa fare. Dunque spero che a questa mia proposta campata per aria segua un’agguerrita discussione. Ovviamente vi invito a puntualizzare, criticare e insultare se questo resumé fosse delirante o avesse delle misinterpretations da sottolineare
.”

L’incontro con l’esperto non è ancora stato fatto, se sarà open vi riferirò con piacere. Nel frattempo io ho partecipato (e registrato) a un incontro in Tribunale con Petrini, Lamacchia e Trucco. Nei prossimi giorni vi proporrò un sunto, tradotto per non “addetti ai lavori” (o “haddetto ai valori”, come recitava un’incomprensibile cartolina elettorale del PD).
Siamo già operativi, al momento con delle abbozzate pattuglie “flessibili”, sul versante (contro)informazione. Vi inoltro il secondo resoconto.

03/06/2008 (vedi sopra)

Veloce perché tra poco svengo di sonno: passato egregiamente il mio penultimo esame.

Marta ci ha fatto un saggio e competente resoconto del decreto legge in vigore dal 25 maggio, suddiviso in ESPULSIONE, AGGRAVANTE CLANDESTINITA’ e CESSIONE A TITOLO ONEROSO DI IMMOBILI.
La lezione frontale si è trasformata ben presto in una vivace discussione sull’“eterogenesi dei fini” (espressione regina incontrastata della serata) del pacchetto sicurezza, chiarificazioni sulle modalità per ottenere il permesso di soggiorno, e sulle ovvie complicazioni che un’eventuale introduzione del reato di immigrazione clandestina introdurrebbe.

Abbiamo ancora una volta sottolineato l’impellente necessità di fare (contro)informazione, soprattutto alla luce della spazzatura xenofoba che circola copiosa e gratuita. A fianco della sacrosanta attività di autoformazione e di produzione di cultura politica (ci saranno mille modi per dirlo meglio ma ci siamo capiti) è necessario attivarci in fretta e cercare di combattere le nostre piccole battaglie dove serve (si diceva Vallette, Falchera,…).
En gros, abbiamo pensato di
PATTUGLIA GIURISTI (chi degli assenti si adiunge?)
raccogliere cifre ufficiali e di informarsi sui “pacchetti sicurezza” francese, spagnolo, tedesco, inglese (stop?), e delle normative europee, ONU, Amnesty…altro? Ho fatto un calderone.
PATTUGLIA INFORMAZIONE
Attenta lettura e selezione di titoli e articoli su immigrazione, rom, e chi più ne ha più ne metta, della settimana in corso, su La Stampa, Torino Cronaca, Tg1 e Leggo, City e Metro. Con particolarissima attenzione per la cronaca cittadino-regionale. Se ci fosse qualche pantofolaio che si può occupare del TG3 regionale è l’ultima cosa che manca.

Per riassumere male la questione: possedere l’argomento, sapere cosa sa la gente, informare “volantinando” a tappeto.

Il compito per la settimana prossima è: unitevi alle pattuglie coprendo zone-info scoperte, in ogni caso non venite a mani vuote la settimana prossima.

Si è pensato di allargare alla nostra “cerchia” l’incontro con l’esperto della settimana prossima – segni di vita dell’esperto? – e prepararne bene uno successivo, tra 3 o 4 settimane, con Petrini o chi per esso, magari in un posto più spazioso del Sud (nel quale trasportare la nostra tenacia) – io posso chiedere al Basaglia – 70 posti.

Non sono stato brevissimo, spero di essere stato chiaro. Vado a un incontro delle associazioni che si occupano di rom, vi farò sapere.

Qualcuno ci può inoltrare il programma del Sinistra Pride?

DOMANI SERA (Venerdì 6 giugno) c’è Jorge Giordani (economista, già ministro della pianificazione economica del Venezuela) che parla in Via Pescatore 7 (Piazza Vittorio, dietro il Lab o il 21 non mi ricordo): “Democrazia e socialismo nel XXI secolo, la rivoluzione bolivariana in Venezuela”. Io vado
.”

Possiamo continuare a pensare “tanto sarei una goccia nell’oceano”. Ci sarà sempre qualcun altro che se ne occupa, è vero.

È adesso che sta succedendo.

Estote parati.

venerdì 30 maggio 2008

La deriva del razzismo

Siamo persone - storici, giuristi, antropologi, sociologi e filosofi - che da tempo si occupano di razzismo. Il nostro vissuto, i nostri studi e la nostra esperienza professionale ci hanno condotto ad analizzare i processi di diffusione del pregiudizio razzista e i meccanismi di attivazione del razzismo di massa. Per questo destano in noi vive preoccupazioni gli avvenimenti di questi giorni.
Le aggressioni agli insediamenti rom, le deportazioni, i roghi degenerati in veri e propri pogrom, e le gravi misure preannunciate dal governo col pretesto di rispondere alla domanda di sicurezza posta da una parte della cittadinanza. Avvertiamo il pericolo che possa accadere qualcosa di terribile: qualcosa di nuovo ma non di inedito.La violenza razzista non nasce oggi in Italia. Come nel resto dell'Europa, essa è stata, tra 800 e 900, un corollario della modernizzazione del Paese. Negli ultimi decenni è stata alimentata dalla strumentalizzazione politica degli effetti sociali della globalizzazione, a cominciare dall'incremento dei flussi migratori e dalle conseguenze degli enormi differenziali salariali. Con ogni probabilità, nel corso di questi venti anni è stata sottovalutata la gravità di taluni fenomeni. Nonostante ripetuti allarmi, è stato banalizzato il diffondersi di mitologie neo-etniche e si è voluto ignorare il ritorno di ideologie razziste di chiara matrice nazifascista. Ma oggi si rischia un salto di qualità nella misura in cui tendono a saltare i dispositivi di interdizione che hanno sin qui impedito il riaffermarsi di un senso comune razzista e di pratiche razziste di massa. Gli avvenimenti di questi giorni, spesso amplificati e distorti dalla stampa, rischiano di riabilitare il razzismo come reazione legittima a comportamenti devianti e a minacce reali o presunte. Ma qualora nell'immaginario collettivo il razzismo cessasse di apparire una pratica censurabile per assumere i connotati di un «nuovo diritto», allora davvero varcheremmo una soglia cruciale, al di là della quale potrebbero innescarsi processi non più governabili.Vorremmo che questo allarme venisse raccolto da tutti, a cominciare dalle più alte cariche dello Stato, dagli amministratori locali, dagli insegnanti e dagli operatori dell'informazione. Non ci interessa in questa sede la polemica politica. Il pericolo ci appare troppo grave, tale da porre a repentaglio le fondamenta stesse della convivenza civile, come già accadde nel secolo scorso - e anche allora i rom furono tra le vittime designate della violenza razzista. Mai come in questi giorni ci è apparso chiaro come avesse ragione Primo Levi nel paventare la possibilità che quell'atroce passato tornasse.
Marco Aime, Etienne Balibar, Rita Bernardini, Alberto Burgio, Carlo Cartocci, Tullia Catalan, Enzo Collotti, Alessandro Dal Lago, Giuseppe Di Lello, Angelo d'Orsi, Giuseppe Faso, Mercedes Frias, Gianluca Gabrielli, Clara Gallini, Pupa Garribba, Francesco Germinario, Patrizio Gonnella, Gianfranco Laccone, Maria Immacolata Macioti, Brunello Mantelli, Giovanni Miccoli, Filippo Miraglia, Giuseppe Mosconi, Grazia Naletto, Michele Nani, Salvatore Palidda, Marco Perduca, Giovanni Pizza, Pier Paolo Poggio, Carlo Postiglione, Enrico Pugliese, Anna Maria Rivera, Rossella Ropa, Emilio Santoro, Katia Scannavini, Renate Siebert, Gianfranco Spadaccia, Elena Spinelli, Ciro Tarantino, Giacomo Todeschini, Nicola Tranfaglia, Alessandro Triulzi, Fulvio Vassallo Paleologo, Barbara Valmorin, Danilo Zolo.
Per adesioni: razzismodimassa@gmail.com

martedì 27 maggio 2008

Una decrescita serena?

Può una società stretta tra spreco iperconsumista e perdita di democrazia affrontare crisi ecologica, esaurimento delle risorse, ineguaglianza e ingiustizia? Quali domande farci, quali risposte tentare?
INCONTRO CON SERGE LATOUCHE, MARCO REVELLI E LUCA MERCALLI
29 maggio 2008
ore 21
Mercato dei contadini - Porta Palazzo
Piazza della Repubblica angolo via Fiocchetto - TORINO
info 0114436250

sabato 24 maggio 2008

Mai '08

Quando le SS sono venute ad arrestare i sindacalisti,
non ho protestato perchè non ero un sindacalista.

Quando sono venute ad arrestare i Rom
non ho protestato perchè non ero un Rom.

Quando sono venute ad arrestare gli Ebrei
non ho protestato perchè non ero un Ebreo.

Quando alla fine sono venute ad arrestare me
non c'era più nessuno a protestare.

Marlin Niemnoeller

sabato 10 maggio 2008

Aspettando la democrazia

“Only a crisis,
actual or perceived,
produces real change”
(Milton Friedman)




Il ciclone tropicale Nargis sta devastando la Birmania, oops, il Myanmar (scusate, generalissimi).
Decine di migliaia di vittime, forse centomila, un milione di homeless secondo l’Onu.

3 milioni di dollari americani sono sull’attenti, e gli altri paesi in coda. La “comunità internazionale” scalpita: ha bisogno di aiutare, non può assistere inerme a un disastro di queste proporzioni. E la giunta militare ancora non apre le sue frontiere. Il regime dichiara di volere soltanto aiuti materiali, che sono accettati a patto che i generali stessi gestiscano l’emergenza. Attraverso il filtro governativo passano praticamente solo le scorte di viveri del Pam (Programma alimentare mondiale), distribuiti dai militari che ancora non hanno disertato per rintracciare le proprie famiglie.
L’ipotesi di ricorrere all’“ingerenza umanitaria” (proposta del francese Kouchner) è ancora esclusa, per adesso.

Per quale motivo la giunta dovrebbe rifiutare gli aiuti?

Nessuno si preoccupa di spiegarcelo. Il referendum-farsa che nonostante tutto si sta svolgendo – rinviato solo per le zone di crisi – è additato da tutti come il “punto debole” della dittatura, e la ragione per la quale i visti non vengono concessi. Certo, se la giunta desse il via libera agli aiuti, gli osservatori internazionali vedrebbero il ridicolo svolgimento del referendum: nessuno spazio mediatico alla campagna per il “NO”, obbligo di riportare le proprie generalità sulla scheda, e via dicendo. E allora? Non si sapeva già? Il regime birmano è sanguinario, oppressivo e corrotto. Abbiamo già dimenticato la repressione autunnale? Eravamo tutti monaci birmani all’epoca, tutti vestiti di rosso a ottobre, ma adesso siamo tutti tibetani. La moda non si ferma mai, è in continua evoluzione.
Crediamo davvero che la giunta si vergogni del suo pugno dittatoriale, e arrossisca al pensiero di una sculacciata occidentale? Le dichiarazioni di Laura Bush di 4 giorni fa: “gli aiuti ve li mandiamo ma alle nostre condizioni”, sono sembrate più una gaffe che altro, e hanno scioccato anche personalità dell’opposizione birmana in esilio, come Aung Naing Oo, analista politico, che ha ribattuto: “se gli Stati Uniti vogliono davvero aiutare, lo devono fare senza richieste politiche”. Qualcuno dovrebbe spiegare alla first lady americana, che non sono di natura politica gli interessi in campo. Non è così che funziona.

Dimentichiamo per un momento la malleabilissima “opinione pubblica” – noi stessi – e chiediamoci: da quando in qua i governi occidentali vanno a lavare i panni sporchi degli altri? Le elezioni-farsa russe sono forse state un problema? Solo per fare un eclatante esempio recente. Non mi risulta che ci sia petrolio in Myanmar, eppure c’è tantissimo riso. Ma, nonostante questo, non posso credere che l’Asse del Bene abbia creato il ciclone Nargis per poter razziare il riso birmano. Sarebbe plausibile, benché difficile da credere, ma non sono così complottista.

Forse qualcuno me lo può spiegare meglio, ma perché mai una banda di criminali al governo non dovrebbe accettare un massiccio sistema di aiuti, ben strutturato e funzionale, che arriva, risolve – o attenua – la crisi, cura i feriti, sfama gli affamati, alloggia gli homeless, riversa milioni di dollari che altro non sono che briciole o sms occidentali, e poi se ne va?

Forse perché poi non se ne va.

Mis-à-part la dibattutissima questione della reale natura della beneficenza – quanti centesimi su un euro donato arrivano a destinazione, se arrivano, etc. – bisognerebbe forse imparare qualcosa dal recente passato. “Dal letame nascono i fiori”, cantava De Andrè, e lo sanno molto bene le multinazionali del turismo, e gli squali globali, predicatori del neoliberismo “puro”. Liberare i mercati è l’obbiettivo numero uno. Chiedetelo alle decine di migliaia di senzatetto che ancora popolano lo Sri Lanka, mentre dove c’erano le loro capanne ora splendono magnifici hotel con piscina.

Non credo che la giunta militare birmana stia facendo gli interessi della sua popolazione. Se così fosse, la avrebbe innanzitutto avvertita della calamità in arrivo, cosa che ha accuratamente evitato di fare. Credo che abbia semplicemente intenzione di continuare a fare i suoi sporchi affari, senza dover dividere la torta con gli squali bianchi. E, tra parentesi, nella maggior parte dei casi “dividere la torta” vuol dire farsi corrompere o poco più, mentre la torta birmana è ancora tutta loro.

Credo piuttosto che questo silenzio sul perchè la giunta non permette l’ingresso agli aiuti sia imbarazzante. C’è qualcuno che crede davvero che le ragioni siano di natura politica?

"In Iraq, Sri Lanka and New Orleans, the process deceptively called "reconstruction" began with finishing the job of the original disaster by erasing what was left of the public sphere.
When I began this research into the intersection between super-profits and mega-disasters, I thought I was witnessing a fundamental change in the way the drive to "liberate" markets was advancing around the world." (Naomi Klein)

Presto Nargis sarà solo un triste ricordo, filmati d’archivio su youtube. Ma avremo i low cost per il Myanmar, oops, la Birmania.

The Shock Doctrine by Alfonso Cuarón and Naomi Klein

giovedì 1 maggio 2008

Edward Said talks about Israel

L'Asse del Bene

Il Tg1 è riuscito a superare sé stesso. Se perdo il mio tempo a riferirvi una “notizia” apparsa oggi tra il solito collage lobotomizzante vuol dire che forse anche il fondo è difficile da raggiungere. Immagino che si tratti dell’effetto monopolio: quel servo di Gianni Riotta si sta già ridimensionando (c’era qualcosa da ridimensionare?) e autocensurando, limando il suo inutile impasto di cani salvati da donne cieche, vecchie nullatenenti con un tesoro nascosto, surfisti sbranati da squali, il giallo della settimana, limandolo un po’ secondo i desideri del nuovo vecchio capo. Oh, chi si rivede, il Cavaliere. Ma non credo che l’intollerabile censura, figlia della “versione ufficiale” – leggi “la balla ufficiale” – che tappa la bocca a chi non sta dalla nostra parte sia anch’essa monopolio del pur potentissimo – che non si offenda – Silvio.

Raccontando delle celebrazioni dell’Olocausto (si direbbe che siano settimanali a volte) in Israele, l’inviato si è concesso una breve “digressione” di attualità. Dal cappello del mago-giornalista è spuntata l’Iran, e i rischi che Israele corre adesso, accerchiato dal Male: “Secondo un sondaggio, molti israeliani, per la maggior parte giovani, temono un secondo Olocausto”. Ma davvero? Che sondaggio? E soprattutto, Olocausto di chi?

Bisogna ammettere che la cosiddetta Asse del Male – quella mediorientale, da non confondere con quella sudamericana… – nei mesi scorsi non si è trattenuta. Minacce a Israele, sono arrivate da Al Quaeda, Hezbollah e dallo stesso Ahmadinejad.
Israele è nostro alleato nella guerra contro il Terrore, questa ne è l’ennesima dimostrazione. Il Terrore terrorizza Israele. Il Terrore, il Terrore. Giorno dopo giorno, bombardati da informazione faziosa e disonesta, sporche e striscianti menzogne incominciano a disegnarci un mondo più facile da capire, dove il terrorista è l’arabo. Sunniti, sciiti, dittatori, governi democraticamente eletti, troppo complicato da capire. Lasciate fare a loro. Hamas, legittimamente al potere, non prende parte ai negoziati. È come se nei prossimi anni si continuasse a dialogare con il governo Prodi. Ah, l’esportazione della democrazia. Hamas è inserito nella lista delle organizzazioni terroristiche, and that’s it. Se non ci piaci, non esisti.
Eppure dall’inizio della seconda Intifada il numero delle vittime palestinesi è 5 volte superiore a quello delle vittime israeliane (fonte Afp), nella Striscia di Gaza il rispetto dei diritti umani è un’utopia, la metodica barbarie israeliana è intollerabile, e lo è da sempre. Il neologismo di Baruch Kimmerling rende l’idea: “con il termine politicidio intendo un processo che abbia, come fine ultimo, la dissoluzione del popolo palestinese in quanto legittima entità sul piano sociale, politico ed economico”. Sul piano sociale ed economico è sufficiente l’occupazione israeliana. Per quanto riguarda il piano politico, beh, lì i paesi occidentali corrono in soccorso di una politica intollerabile, delegittimando e demonizzando un partito democraticamente eletto come Hamas.
Eppure l’ex presidente americano Carter – non certo terrorista o comunista – in questi giorni non poteva essere più chiaro: bisogna parlare con Hamas. Il nostro ministro degli Esteri d’Alema lo ripete da anni. Per Carter, inoltre, senza il ritiro di Israele si prospettano solo due scenari. Il primo, rifiutato dalla stragrande maggioranza della popolazione ebraica, implicherebbe l'unificazione dell'intera Palestina in un solo stato. Il secondo scenario vede la cristallizzazione «di un sistema di apartheid con due popoli sulla stessa terra ma completamente separati uno dall'altro, con gli israeliani completamente dominanti che reprimono la violenza (che ne scaturisce, ndr) privando i palestinesi dei loro elementari diritti umani. Questa è la politica perseguita attualmente».

Un mese e mezzo fa il viceministro della Difesa israeliano ha minacciato i palestinesi di una “shoah” peggiore di quella che già conoscono, nel caso in cui fossero continuati i lanci di razzi qassam. La “smentita” è stata rapida, bien sûr: “shoah” significa non solo “olocausto” ma anche “catastrofe”. Penso che l’errata corrige si commenti da sola.

I nostri mezzi di comunicazione partecipano in massa a questa continua demonizzazione di tutto ciò che si autodetermina nel mondo arabo. L’ingerenza è la prassi, e a furia di farci bombardare finiamo per crederci. I cattivi sono gli altri. Come ha notato Travaglio, se “l’eroe Mangano” fosse spuntato in campagna elettorale del ’94, Berlusconi sarebbe stato massacrato al voto. 14 anni di bombardamenti mediatici sono capaci di smuovere un paese, di fargli “cambiare idea” anche sulla mafia.

E infatti di anni ne sono bastati 6 e mezzo. Iraq, Afghanistan, Iran, Palestina.
I massacri metodici di civili sono tollerati dall’opinione pubblica in nome della guerra al Terrore. Tanto questi civili sono arabi, ci fanno paura, sono diversi, sono cattivi. Se poi le bombe inseguono i terroristi in Somalia, massacrando anche lì, neanche ce ne accorgiamo. E poi, anche ce ne accorgessimo, nel Corno d’Africa non sono musulmani anche loro?

I buoni e i cattivi. “It’s very simple. If they do it is terrorism, if we do it is counter-terrorism. That’s a historical universal.” (Noam Chomsky)

You talk about tolerance and peace at a time when your soldiers perpetrate murder even against the weak and oppressed in our countries”. Alzi la mano chi sa chi ha pronunciato questa frase.

Forse bisognerebbe spiegare a quei tanti giovani israeliani che temono un secondo Olocausto – sempre che esistano – che ad azione segue reazione. La pace non si costruisce con le menzogne, egregio signor Riotta. Le uniche speranze di pace nei Territori Occupati sembrano essere legate a una continua azione di bloggers – israeliani e palestinesi – che si tengono in contatto, ignorando censure e repressioni. Le vere informazioni ormai sono alla portata di tutti. Difficili da reperire, sommerse da spazzatura. Ma un altro mondo è già disponibile, in rete.

Spegnete la televisione. Accendete il computer.

À propos, la frase è di Bin Laden.

Noam Chomsky on terrorism

mercoledì 23 aprile 2008

food first

Tutti gli animali sono uguali, ma alcuni animali sono più uguali degli altri” (George Orwell, La fattoria degli animali)

La gente si ammazza nelle code per il pane, le repressioni dei governi sono metodiche. Silenziose e metodiche. Camerun, Costa d’Avorio, Egitto, Madagasgar, Niger, Burkina Faso, Mauritania, Vietnam, Cambogia, Yemen, Messico. Il prezzo dei beni alimentari di prima necessità raddoppia in poche ore ad Haiti, del 50 per cento ovunque, in Sierra Leone del 300 per cento.
La Fame.
Il Nulla de “La Storia Infinita” sta divorando pezzi di pianeta: si salvi chi può. E chi può?

A fine febbraio il Financial Times aveva lanciato l’allarme, rimasto ovviamente inascoltato. Persino i telegiornali ci stanno raccontando pezzi di verità. Qualche goccia di fame mediatizzata alla settimana per ricordarci di quanto siamo fortunati noi, del nord del mondo. Una “crisi alimentare” che provoca “disordini”, “rivolte” e “proteste”. All’ultimo G8 se ne era già parlato, e lo spettro della “rivoluzione mondiale” già spaventava allora. L’ondata di povertà era prevista e prevedibile. Com’è possibile che stia succedendo?

Il petrolio sta iniziando a scarseggiare, costa troppo ed è troppo vincolato a una situazione geopolitica decisamente sfavorevole ai paesi occidentali, adesso e per i prossimi anni. Fidel Castro era stato limpido e profetico più di un anno fa. Il biodiesel crea fame. Ieri, a New York, davanti all'Onu, i presidenti di Bolivia e Perù Evo Morales e Alan Garcia si sono apertamente schierati contro i biocarburanti, sottolineandone gli effetti devastanti per le popolazioni più povere, completando la serie di capi di stato – per lo più di Sud o Centro America – contrari.

A questo si aggiunge la tremenda recessione che sta vivendo – o forse sta per vivere – il mondo occidentale, e di conseguenza il mondo intero, a noi legato a filo doppio. La crisi dei mutui dalle nostre parti non è niente in confronto a quello che è già successo e sta succedendo in almeno 30 paesi del Sud del mondo. I cosiddetti “paesi in via di sviluppo” servono a garantire che uno “sviluppo” sia ancora possibile per noi, ammortizzando le perdite del sistema. E se da noi il carovita divora stipendi con rincari anche del 30 per cento in pochi mesi su beni di prima necessità, nel sudest asiatico, in Africa e in Latino America la fame uccide, e alle misure economiche palliative non sufficienti si affianca la repressione. In Egitto è durissima: la polizia ammazza i manifestanti e attivisti e bloggers vengono dimenticati in galera (http://arabist.net/arabawy/). Il sostegno che si dà ai governi nella repressione delle rivolte è sia economico che mediatico. Persino l’autocratico regime egiziano di Mubarak ha più popolarità ora presso i media occidentali – compresi i nostri – che prima che le rivolte scoppiassero.
“In 30 Stati ci sono stati disordini per l’aumento del prezzo dei cereali. Di solito domanda e offerta hanno lo stesso andamento. Per i cereali non è così. Negli ultimi anni la domanda è cresciuta dell’8%, il prezzo è aumentato del 50%. E’ la globalizzazione dei morti di fame.” (Beppe Grillo). I più grandi produttori mondiali di riso come le Filippine sono costretti a importarne altro per affrontare la fame dilagante a causa dei prezzi impazziti. Sono stati tutti convinti a legarsi a filo doppio al sistema. Stanno cadendo per prima: ci attutiranno la caduta.

Non avrebbe senso se non funzionasse così. Un sistema studiato perché il Dio Mercato, puro si regoli da solo – benché gli faccia sempre comodo avere degli stati per “nazionalizzare le perdite”, mentre si “privatizzano i profitti” – non può che avere come conseguenza un mondo di squali. I meccanismi di controllo sono completamenti inadeguati, perché le corporation sono delle persone giuridiche, e più che a persone assomigliano ad anguille. La fame ammortizza le perdite e, creati i precedenti, anche i rischi delle speculazioni private, la guerra crea capitale. E ora il virus della guerra privatizzata è entrato in circolo. Questo non è un sistema capitalista, ma corporativista. “Le sue caratteristiche principali sono enormi trasferimenti di beni pubblici a privati, spesso accompagnati dall’esplosione del debito pubblico, uno iato sempre più largo tra gli scintillanti ricchi e i poveri usa-e-getta e un nazionalismo guerrafondaio che giustifica spese illimitate per la sicurezza” (Naomi Klein, Shock Economy). Le ricchezze dei signori degli “hedge fund”, stanno crescendo in maniera esponenziale, in America avere un’agenzia di contractors (i mercenari che spopolano in Iraq) adesso vuol dire oro a palate. Tutto va secondo i piani. Non c’è niente di sbagliato nel sistema. È così che deve funzionare.

Qualcuno che si oppone c’è ancora. Privatizzare è facilissimo, nazionalizzare è impossibile se si vuole rimanere nel sistema. Solo i “governi dissidenti” sudamericani riescono ancora ad avere – o a riprendersi – il pieno possesso delle risorse del territorio nazionale. E dal Mend nigeriano (Movimento per l’emancipazione del Delta del Niger) ai maoisti nepalesi, chiunque si tiri fuori dal sistema è terrorista oppure non esiste. Quanti sanno che in Messico si sta combattendo in queste settimane la battaglia della vita? Il governo di Obrador vuole privatizzare la compagnia statale Penex, cuore dell’economia del paese, con una “riforma energetica”. È una mossa che assomiglia tanto, troppo, a quelle di Pinochet e dei generali argentini alla loro installazione. Enormi trasferimenti di denaro pubblico in tasche private. Il popolo messicano è in piazza a gridare: “E dov’è il tuo popolo, Obrador?”

“The World Food Programme is holding crisis talks to decide what aid to halt if new donations do not arrive in the short term”, scriveva qualche settimana fa il Financial Times. Donations? Ammesso che dovessero bastare, sarebbero sufficienti le donations (gli aiuti) per rattoppare voragini di crisi create dal libero mercato, quando lo stesso libero mercato si cura con soldi pubblici in caso di ingenti perdite?

Molti bambini alla domanda “se avessi il genio della lampada qua davanti a te, cosa gli chiederesti?” rispondono: “che finisce la fame nel mondo” oppure “che basta con la guerra”. Poi diventano grandi.

Il problema è che tutto questo è sotto i nostri occhi. Ci viene persino raccontato. Abbiamo tutti gli elementi per capire.
Solo che per la maggior parte di noi è inevitabile che sia così.



Invito chi volesse approfondire l’argomento a mettersi in contatto con me. AAA economisti cercasi.

giovedì 17 aprile 2008

Imbavagliati

Oggi si smette di sussurrare.

In parte era nelle mie intenzioni muovere i primi passi del blog con cautela, come avrete notato nei miei ripetuti – e disperati – appelli all’unione nell’“antiberlusconismo”. Ma la portata di questa débacle è inaspettata e terrificante. Innanzitutto perché solo se tutti coloro che sono rimasti senza rappresentanza – elettori de La Destra compresi – avessero votato PD, Veltroni avrebbe battuto Berlusconi alla Camera. Dunque l’antiberlusconismo non va più di moda. Ma non è questo che mi preoccupa.

La forzata americanizzazione della nostra politica è stato un ricatto pianificato nel quale siamo cascati tutti, chi più chi meno. Chi ha votato “utile” lasciando sparire la sinistra dal panorama politico italiano, chi ha pensato di farlo, chi non si è astenuto sentendo il voto – e soprattutto la paura di 5 anni di Berlusconi – come un dovere, una necessità. Non è forse la democrazia un continuo compromesso? Ci si chiedeva.

3 milioni 631 mila e 439 votanti non hanno una rappresentanza parlamentare alla Camera.
È forse questo un compromesso?

Certo lo è per gli 885 229 elettori de La Destra (687 211 al Senato), partito voluto, approvato e finanziato dal Cavaliere, fortemente radicato nelle realtà neofasciste, possibile braccio armato di un nuovo “regime” che un braccio armato ben più forte lo ha già: le ronde leghiste. E non è fantapolitica, non sono processi alle intenzioni: basta ricordarsi di Genova 2001.

Quello che si è compiuto sotto i nostri occhi è un genocidio culturale, che nel compiersi ha preso le sembianze di un suicidio politico di massa. Più di 3 milioni e mezzo di persone sono state risucchiate, ammorbidite e zittite da un forzato bipartitismo, fortemente voluto da una legge elettorale incostituzionale ma soprattutto indegna, un bipartitismo auspicato da un establishment che si è sentito attaccato da un circolo virtuoso iniziato dall’antipolitica, dagli attacchi alla “Casta”, ed è corso ai ripari.

2 milioni, 940 mila e 941 persone non hanno rappresentanza al Senato. La differenza fa pensare che i 690 mila e 498 di differenza siano in gran parte (dobbiamo tenere in conto anche il voto disgiunto) giovani di età compresa tra i 18 e i 24. Al Senato c’è inoltre la divertente anomalia di tutti gli elettori non siciliani dell’UDC – l’unico partito di centrodestra rimasto – cioè 1 milione 626 mila 714 votanti, non rappresentati. Persino i cattolici vengono richiamati nei ranghi del bipolarismo.

La febbre della democrazia, l’astensionismo, ha dato il suo prevedibile e inascoltato – prevedibilmente – segnale.
Il 3 per cento degli italiani ha accolto l’appello dell’antipolitica. Un milione e mezzo di persone si sono tolte la possibilità di essere rappresentati. Hanno semplificato le cose. Tantissimi sono giovani. Ci abbiamo parlato. Molti di noi hanno provato a convincerli ad andare a votare, tappandosi il naso, parandosi il culo. Ma senza grandi risultati. E il milione e mezzo di schifati si è aggiunto a quegli altri 8 milioni circa di aventi diritto che alle urne non ci vanno. Tendenzialmente mai. C’è ancora qualcuno che crede che “il tasso di astensionismo” crei qualche problema alla “casta”? Meno gente si toglie il diritto di parlare, meno si deve rendere conto alla gente. E se poi si semina già per il futuro, tanto meglio. Mio fratello di 15 anni, colpito dalla mia passione “politica”, mi ha detto allibito: “ma tanto è tutto uno schifo”.

Stiamo diventando un paese normale? Il nostro tasso di astensionismo era troppo anomalo, ora pian piano rientriamo tra le righe delle democrazie “to take away”. La formula facile. Tanto Berlusconi stravince al Sud grazie alle mafie, al Nord grazie a un partito separatista, populista e xenofobo (che oltretutto è bello incazzato con gli sprechi dei contributi nordici… mangiati dalle mafie), tanto Veltroni ha ormai deciso che bisogna fare opposizione morbida, ma a che serve litigare? A che serve quando è molto più comodo aspettare il proprio turno, lasciando che il nostro paese venga di nuovo fatto a pezzi, sezionato, spolpato, lasciando che si creino nuovi precari per rendere più appetibile il mercato del lavoro, che si aprano nuovi CPT, che si lascino impunite le ronde leghiste (diventeranno “forze istituzionali”? difficile dire no a tre milioni di elettori, vero?), che si inventino nuove leggi ad personam, nuove impunità. Il centro (bisogna ancora dire centro-sinistra?) aspetterà il suo turno, annuendo servilmente per la nuova legge elettorale, conscio del fatto che solo se tutti i non rappresentati in parlamento avessero votato PD, ora Veltroni sarebbe Presidente del Consiglio. Bisogna aspettare qualche decennio, per tornare al governo. Ma senza la sinistra radicale tra le palle è tutto molto più semplice.

Milioni di persone, a sinistra, non avranno rappresentanza né alla Camera né al Senato. Attivisti, giovani, precari, ecologisti, disoccupati. “Lasciarli fuori dal Parlamento mentre dentro ci sono un centinaio tra condannati, prescritti, indagati e rinviati a giudizio non è una buona idea”, scrive Beppe Grillo.

È la democrazia rappresentativa ancora credibile?

Sono tra di noi, si aggirano. Dieci milioni di persone che non esercitano il loro diritto di voto e per questo non sono rappresentate, altri 3 milioni si stanno chiedendo cosa fare. Aggiungiamo a questi almeno un altro milione di persone che ha ceduto all’appello al “voto utile” (basta confrontare l’11 per cento abbondante del 2006 e i malefici sondaggi con lo striminzito 3 per cento finale). Bisogna reinventarsi la politica e renderla credibile o inventarsi nuove forme di partecipazione?

Innanzitutto, occhi bene aperti. La nostra voce è ormai extraparlamentare. E parlo anche a chi non avrebbe mai votato a sinistra, ricordando le battaglie che a sinistra si combattono. In campagna elettorale l’ex ministro Martino ha parlato di Iraq. Tutti se ne vanno, il PDL ci vuole tornare? Dell’Utri vuole santificare i mafiosi e riscrivere i libri di storia. Berlusconi avrà di nuovo il controllo totale dell’informazione.
E tra pochi giorni è il 25 aprile. Festa della Liberazione e V-Day (libera informazione in libero stato) di Beppe Grillo a Torino. Forse vale la pena di fare un salto. Per capire cosa possiamo fare. Inoltre cercherò di organizzare qualcosa per il 25 sera.
Ma la cosa più importante da ricordare adesso è che la libera informazione c’è, e si chiama internet. Io mi impegno, attraverso il blog, a fornirvi settimanalmente spunti e informazioni vere, grazie a siti internet e blog come democracynow, youtube, attac, lavoce, e molti altri. Aiutatemi.

venerdì 11 aprile 2008

Resteremo vivi

In questi giorni torinesi ho lasciato che televisioni, giornali e dibattiti mi bombardassero di campagna elettorale, opinioni, editoriali, insulti, discussioni da bar, da circolo, da bus.

Vorrei che tutto sparisse per sempre, e per tutto intendo questa politica marcia, corrotta e bugiarda, questa Italia credulona, clientelare e vecchia. Disillusa e con le spalle al muro. E vorrei che dalle ceneri del tutto germogliasse un paese sano, pulito e onesto. Ma tutto questo non può sparire. Bisogna scegliere.
Io andrò a votare. In questi giorni sono apparsi sui principali quotidiani – e a più riprese su La Stampa – appelli al voto come “dovere”. La sola cosa che mi viene da rispondere è che il voto sarà anche un dovere, ma l’onestà e la trasparenza nei confronti degli italiani sono doveri – quelli sì – imprescindibili, semplicemente ignorati dalla nostra politica, dalla Casta. Io capisco, e in parte invidio, chi non andrà a votare. Chi andrà a protestare alle urne, si farà trascinare in questura, vomiterà il suo disprezzo. Chi semplicemente starà a casa a farsi divorare dalla rabbia, seguendo con spasmodica impotenza queste ore elettorali. Li invidio perché io non riesco ad assistere inerme a questa gigantesca pagliacciata.

Votare non è una questione di calcoli. Ma se anche lo fosse, sarebbe molto improbabile che uno tra PD o PDL vincesse in maniera netta sia alla Camera che al Senato. Ed è altrettanto improbabile che uno degli “altri” superi in più regioni l’8% (la percentuale di sbarramento) al Senato, offrendosi così come riempitivo per la governabilità. Lo scenario più probabile è il Grande Inciucio. Non che la previsione mi scandalizzi particolarmente, anzi. Il Compromesso Storico fu di ben altra portata.
Decifriamo però il Grande Inciucio: su cosa sarebbero in grado di accordarsi PD e PDL?
Gli interessi che hanno in comune i due pigliatutto hanno poco a che vedere con un’Italia migliore, non hanno niente a che vedere con l’Italia “che non arriva a fine mese”. Lasciamo pure la domanda in sospeso. Una nuova legge elettorale? Forse uscirebbe dal cilindro, e la americanizzazione della politica italiana vivrebbe le sue ultime fasi. Due grandi partiti, pochissime differenze. Al momento i due programmi elettorali si somigliano, è vero. Eppure ricordiamoci che, solo per fare un esempio, ci sono tanti elettori della Sinistra Arcobaleno tentati dal voto utile, ogni tanto Veltroni deve ammiccare anche a loro. Ricordiamoci che gli attuali elettori del PD erano fino all’altroieri elettori di centro-sinistra, non possono ingoiare il boccone tutto insieme, non possono risvegliarsi un mattino ed essere elettori di centro. Anche se lo sono già.
E soprattutto, ricordiamoci che questa “semplificazione forzata” del nostro mosaico di partiti è stata sì, in parte, un circolo virtuoso, che ha in primo luogo eliminato i panni sporchi che avevano passato il limite della decenza (leggi Mastella) e reintegrato quasi tutti gli altri sotto mentite spoglie, ma è stato soprattutto un deciso balzo a destra (dov’è il centro rispetto alla sinistra?) di TUTTA la politica italiana. Non c’è stato un avvicinamento reciproco, è fondamentale non dimenticarlo. Anzi: come ho già avuto modo di sottolineare, Berlusconi (candidato premier) ha letteralmente scavalcato Fini – e il suo passato nero – creando e finanziando la nostra nuova realtà neofascista, La Destra, che, benché non faccia troppa paura a livello nazionale (anche se credo che ci stupirà), nelle realtà locali (leggi Roma, ma non solo) è la base popolare del PDL, nonché il suo braccio armato.
In questo contesto, votare PD è votare un po’ anche Berlusconi.
Dico questo con la morte nel cuore, perché anch’io sono stato, a tratti, affascinato dagli slogan dovutamente svuotati di senso del PD, anch’io ho amato il “io non sono figlio di nessuno e voglio avere delle opportunità” di Veltroni, anch’io in alcuni momenti ho creduto in questo ibrido nato per fare il colpaccio. Ma la realtà è diversa.

Mi sembra giusto, dal momento che molti di voi mi hanno letto in queste settimane, dirvi come la penso. Io invito chi voterebbe PD a votare Di Pietro. In un paese normale, in una democrazia sana – ma ne esiste una? – Italia Dei Valori non esisterebbe – e comunque “non esisterebbe” ma a destra –. A casa nostra sono proprio quei valori che non esistono. Pensate che Di Pietro è l’unico politico appoggiato dalla cosiddetta “antipolitica” di Grillo. Di Pietro è intransigente, anche se in passato a volte non lo è stato abbastanza, Di Pietro è il primo – e forse l’unico – a volere una politica PULITA, onesta. Solo da lì il vostro bipartitismo – di voi che votereste PD – può ripartire. Ricordo che il “valore” che più ha legato sinistra riformista e sinistra radicale negli ultimi 14 anni è stato l’antiberlusconismo, non dovuto alla demonizzazione dell’avversario (benché qualcuno dei miei lettori creda questo) ma all’intollerabile legalizzazione dell’illegalità che ha rappresentato Forza Italia dal giorno della sua nascita. La politica non è la cura dei propri interessi, ma di quelli di tutti. E senza onestà non si va da nessuna parte.

Io voterò Sinistra Arcobaleno. Alla Camera e al Senato. Potessi ripulirla da un vocabolario vecchio di un secolo e mezzo, potessi accelerare le spinte di rinnovamento che la percorrono, lo farei. Ma non mi illudo, anche la Sinistra Arcobaleno è un ripiano dello scaffale politico che abbiamo visto crescere, invecchiare e ammuffire in questi anni. Ma io non mi perdonerei mai di aver abbandonato a sé stesso quel ripiano lì, dove c’erano le istruzioni per un mondo altro, per un’Italia diversa. La Sinistra Arcobaleno si nutre di esperienze e valori altri, che spesso è scomodo – anche se mai così realistico e attuale – nominare. Innanzitutto la decrescita. Accettiamola, rendiamola uno stimolo per una vita a misura d’uomo.

La Sinistra Arcobaleno lotterà. Per i diritti delle minoranze che saranno sacrificate nel nome del PIL, dell’identità nazionale, culturale e religiosa. E' l’unica sinistra che ci resta. O ripartiamo da lì, o il nostro tasso di astensionismo salirà, salirà, e, un giorno o l’altro ci accorgeremo – se ci rimarrà il tempo per accorgerne – che siamo spariti anche noi.

Ah, non mi sono rivolto a chi ha intenzione di votare il PDL.
Forse non mi resta che citare Sartre: “ogni popolo ha il governo che si merita”.

domenica 6 aprile 2008

Incontro e dibattito


“La Costituzione e il (non) voto”

MERCOLEDI’ 9 APRILE

al Caffé Basaglia
Via Mantova, 34

ore 17.45

Interverrà il

Professor Andrea Giorgis

Ordinario di Diritto costituzionale
nella Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università di Torino.

A pochi giorni dalle elezioni abbiamo pensato di organizzare un incontro
dove potersi confrontare su tematiche quali:

astensionismo
voto utile
voto contro


Siete tutti invitati, inoltrate a chiunque possa essere interessato.

Carlo e Giacomo

Per informazioni:
333 2300584
349 7446735

martedì 1 aprile 2008

Lettera da Bucarest

Bucarest, città occupata per il vertice NATO.
"Ormai è da un anno che vivo a Bucarest. Una città molto complicata in cui vivere. Domani inizierà il vertice NATOIn questi giorni la città è blindata. Esistono strade riservate per gli addetti nato, e molte vie vi sono corsie riservate per il personale NATO.Sabato ci sono state le prove generali…….. Non ho commenti, più che prove generali mi sembrava di assistere ad una corsa automobilistica. Le macchine riservate alla Nato viaggiavano per le strade cittadine almeno a 200 km/h.Ci sono poliziotti in tutta la città, ogni metro quadrato è sorvegliato. La libertà individuale è abbastanza ridotta, ogni spostamento di persone sospette o turisti è controllato a vista dalla polizia o attraverso le nuove telecamere installate in tutta la città. Sicuramente è cosi in quanto nei miei spostamenti ho sentito le conversazioni dei poliziotti che si segnalavano a vicenda il mio passaggio. In centro dove ho la fortuna di abitare, le persone non possono affacciarsi dal balcone, in particolare visto che ho il balcone sulla una delle vie per il parlamento rumeno ho due bei poliziotti sul balcone opposto con fucili pronti a sparare. Con l’avvento della Nato almeno meta dei cittadini di Bucarest sono in vacanza in quanto molti si aspettano il peggio, le località turistiche sono tutte piene. Non è ancora iniziato il vertice ma già la metropolitana è stata ferma per 1 ora per un falso allarme di un pacco bomba se continua cosi si ipotizzerà il blocco della metro sino al termine del vertice NATO. Questo racconto non ha finale…….In quanto la fine sarà solo quando BUSH se ne ritornerà a casa sua e qui ritornerà il CAOS TOTALE."
A.T.

sabato 29 marzo 2008

Così non ci sentono

Innanzitutto vorrei scusarmi con i lettori per il lungo silenzio. Sono sommerso dallo studio, e ho lasciato un po’ il blog in balia di sé stesso. Lancio un veloce spunto.

Molti di noi non hanno ancora deciso se votare o no.
In tanti mi hanno detto “ma che senso ha andare a votare?”. Ho ricevuto una – giusta – critica per aver unito nel sondaggio “astensione”, “boicottaggio” e “scheda bianca”. Per molti, questo è scegliere. “Perchè astensionismo e scheda bianca (o meglio annullamento della scheda) non sono distinti? trovo che siano due cose profondamente diverse”. Anch’io trovo che siano due cose completamente diverse.
A parte il fatto che non è assolutamente chiaro il legame tra “schede bianche/nulle” e “premio di maggioranza” (invito chi avesse certezze al riguardo di condividerle), il voto non valido verrà “conteggiato”. Sarà un “non voto”.
Il boicottaggio. L’illegittimità di queste elezioni. Io seguo quotidianamente il blog di Beppe Grillo, divenuto ormai il simbolo della cosiddetta “antipolitica”. Peccato che così sia detta dalla politica, che non è molto credibile. E di italiani stufi, ma stufi marci, ce n’è davvero tanti. Immagino che la maggior parte di voi stia pensando a sé stesso. Non mi tiro fuori.
L’astensione è una disfunzione della democrazia dalla quale l’Italia è quasi immune, ed è proprio questo che voglio sottolineare. Boicottare oggi, cioè non andare a votare, non solo non servirà: non si noterà neanche. Siamo una delle democrazie con il più alto tasso di partecipazione al voto, dunque non sarebbe visto come un problema, anzi. Nei paesi con tassi di partecipazione ridicoli (leggi Stati Uniti, ma non solo), la politica non ha neanche bisogno di “consenso”, la politica viaggia a un livello superiore, non è controllata da nessuno.
Ora che l’“antipolitica” è così forte, che si riparla delle tasche gonfie dei deputati, che si chiede un “parlamento pulito”, che “gli italiani vogliono un cambiamento”, farebbe tanto comodo a tutti, là ai piani superiori, che gli italiani imparassero a guardare dall’altra parte. A non degnarsi nemmeno di scegliere il partito, visto che già non possono scegliere il candidato. Qualche decina di migliaia di italiani così sarebbe ossigeno puro per la nostra cara e vecchia “casta”, sarebbe stress che se ne va. Non deve essere divertente fare il politico oggi, in Italia. Tutti questi occhi puntati addosso. Inoltre, credo che anche i “voti non validi”, più visibili dell’impersonale “tasso di astensione”, sarebbero un’anomalia segnalata nei primi tg, e poi pian piano dimenticati, o sfoderati come arma elettorale alle prossime elezioni.

Penso che sia fondamentale continuare a esercitare il nostro diritto di scegliere anche in queste condizioni, anche se ci sentiamo presi in giro, perché siamo noi quelli a cui la politica dovrà rendere conto di quello che farà.

Detto questo, vi invito a guardare nella sezione Iniziative, “se vuoi boicottare il voto”, dove ci sono spunti interessanti per non votare facendosi sentire. Abbiamo bisogno anche di questo.