giovedì 26 aprile 2012

Viva l'Italia libera. Intervento dal palco di Piazza Castello, Torino, 24 aprile 2012


Gianna, figlia mia adorata,
[…] Sarò fucilato all'alba per un ideale, per una fede che tu, mia figlia, un giorno capirai appieno”


Perché ha ancora senso per noi giovani, oggi, commemorare la Resistenza?

Oggi ricordiamo innanzitutto la capacità di una generazione di diventare protagonista del proprio presente, di darsi una coscienza politica, di assumersi le proprie responsabilità.

È difficile immaginare, per noi nati negli anni Ottanta o negli anni Novanta, cosa significa nascere sotto una dittatura, crescere nel ventennio fascista, vivere il logoramento di una guerra ingiusta – quella che il fascismo combatte a fianco del nazismo – e poi il doloroso tempo di guerra di un paese spezzato in due, diviso tra occupazione e liberazione, lacerato dalla scia di sangue che i tedeschi, affiancati dal secondo fascismo, lasciano alle loro spalle. Rastrellamenti e bandi di leva, stragi, deportazioni. Questo è il contesto nel quale opera la Resistenza, questa è la “guerra ai civili” del nazifascismo.

In questo scenario un atteggiamento ha prevalso: quello dell'attendismo – come si diceva una volta – con le sue mille sfumature. Con pochi punti di riferimento, la maggior parte degli italiani – seguendo l'esempio di molti dei loro capi all'8 settembre, quando Badoglio e il re lasciano le Forze Armate di fatto senza ordini – semplicemente sceglie di non scegliere. Tira a campare, come facciamo spesso tutti quanti, in fondo, cerca semplicemente di sopravvivere a una guerra che prima o poi – capita sempre – finirà.

Non sono molti quelli che invece scelgono di combattere, nella maggior parte giovani o giovanissimi, affiancati e guidati da un'altra minoranza di uomini e donne che non avevano chinato la testa nel ventennio mussoliniano, scegliendo il pericolo della clandestinità e diverse altre forme di lotta per opporsi al regime. Sono pochi quelli che scelgono di imparare a disubbidire, a ragionare con la propria testa, a immaginare un futuro migliore per il proprio paese, e a lottare per ottenerlo. E sulle nostre montagne e nelle nostre città imparano cos'è la politica, si abituano a coltivare il pensiero critico, soffocato da vent'anni di regime. Si confrontano con i vecchi antifascisti, scolpiti nella fede incrollabile nei loro ideali. Questo virtuoso incontro tra generazioni ci ha regalato una lotta che è riuscita a liberare, nei giorni dell'Insurrezione – nei giorni intorno al 25 aprile – le grandi città del Nord Italia, tra cui la nostra Torino.

E proprio a Torino, a pochi metri da qui, davanti e dentro il Duomo, il 31 marzo del 1944 sono stati arrestati la maggior parte dei componenti del Comitato militare regionale piemontese, tra cui Paolo Braccini, del quale avete sentito le ultime parole alla figlia Gianna. Nel giro di cinque giorni si è consumata una tragedia, è stato imbastito dalla Repubblica di Salò un vero e proprio processo alla Resistenza, che ha portato alla fucilazione di Franco Balbis, Quinto Bevilacqua, Giulio Biglieri, Paolo Braccini, Eusebio Giambone, Errico Giachino, Massimo Montano, Giuseppe Perotti. Uomini di diversa estrazione sociale, di diverse generazioni, di diverse idee politiche, che come tanti altri protagonisti di quei “venti mesi” avevano fatto delle loro diversità un'arma in più, sacrificando ciascuno il proprio futuro per un'idea comune di Italia che un anno dopo vincerà, un impianto di valori condivisi contagiosi, che si contrappongono alla mai sazia brutalità nazifascista: le fila della Resistenza si ingrossano settimana dopo settimana, mese dopo mese, e altri italiani partecipano, non solo i combattenti, alla liberazione dal proprio paese dall'occupante e alla riconquista della libertà. “Viva l'Italia libera!”, sono le ultime parole degli otto condannati a morte. Volevano un'Italia giusta, plurale, libera.

Il paese sorto dalla Resistenza è, prima ancora che una conquista, un programma – così diceva Calamandrei della Costituzione. Un programma sorto dallo slancio ideale di questi ragazzi del secolo scorso: alcuni hanno avuto la fortuna di diventare adulti, poi anziani, altri no. E noi siamo qua a ringraziare chi è ancora con noi, i nostri nonni che hanno avuto il coraggio di rischiare la propria vita per i loro ideali e anche chi nonno non è mai diventato. Franco Balbis aveva due anni in più di me quando ha scritto, nella sua ultima lettera al padre: “Babbo mio caro, non avrei mai creduto che fosse così facile morire”.

Ma siamo qua soprattutto perché – se ancora crediamo che abbia un senso – abbiamo il dovere di dare linfa vitale a questo programma scritto nella nostra Costituzione, dobbiamo difenderlo e rinnovarlo, farlo nostro. In questo nostro presente che si nutre di precarietà vogliamo ritrovare quel protagonismo che ha saputo regalarci un paese libero; oggi che la politica sembra e spesso è così lontana dai cittadini e dalle esigenze del nostro paese vogliamo reinventare una coesione sociale e politica, un mosaico di valori condivisi da difendere, nei quali credere, per i quali – quando necessario – lottare.

Viva l'Italia libera.