sabato 10 maggio 2008

Aspettando la democrazia

“Only a crisis,
actual or perceived,
produces real change”
(Milton Friedman)




Il ciclone tropicale Nargis sta devastando la Birmania, oops, il Myanmar (scusate, generalissimi).
Decine di migliaia di vittime, forse centomila, un milione di homeless secondo l’Onu.

3 milioni di dollari americani sono sull’attenti, e gli altri paesi in coda. La “comunità internazionale” scalpita: ha bisogno di aiutare, non può assistere inerme a un disastro di queste proporzioni. E la giunta militare ancora non apre le sue frontiere. Il regime dichiara di volere soltanto aiuti materiali, che sono accettati a patto che i generali stessi gestiscano l’emergenza. Attraverso il filtro governativo passano praticamente solo le scorte di viveri del Pam (Programma alimentare mondiale), distribuiti dai militari che ancora non hanno disertato per rintracciare le proprie famiglie.
L’ipotesi di ricorrere all’“ingerenza umanitaria” (proposta del francese Kouchner) è ancora esclusa, per adesso.

Per quale motivo la giunta dovrebbe rifiutare gli aiuti?

Nessuno si preoccupa di spiegarcelo. Il referendum-farsa che nonostante tutto si sta svolgendo – rinviato solo per le zone di crisi – è additato da tutti come il “punto debole” della dittatura, e la ragione per la quale i visti non vengono concessi. Certo, se la giunta desse il via libera agli aiuti, gli osservatori internazionali vedrebbero il ridicolo svolgimento del referendum: nessuno spazio mediatico alla campagna per il “NO”, obbligo di riportare le proprie generalità sulla scheda, e via dicendo. E allora? Non si sapeva già? Il regime birmano è sanguinario, oppressivo e corrotto. Abbiamo già dimenticato la repressione autunnale? Eravamo tutti monaci birmani all’epoca, tutti vestiti di rosso a ottobre, ma adesso siamo tutti tibetani. La moda non si ferma mai, è in continua evoluzione.
Crediamo davvero che la giunta si vergogni del suo pugno dittatoriale, e arrossisca al pensiero di una sculacciata occidentale? Le dichiarazioni di Laura Bush di 4 giorni fa: “gli aiuti ve li mandiamo ma alle nostre condizioni”, sono sembrate più una gaffe che altro, e hanno scioccato anche personalità dell’opposizione birmana in esilio, come Aung Naing Oo, analista politico, che ha ribattuto: “se gli Stati Uniti vogliono davvero aiutare, lo devono fare senza richieste politiche”. Qualcuno dovrebbe spiegare alla first lady americana, che non sono di natura politica gli interessi in campo. Non è così che funziona.

Dimentichiamo per un momento la malleabilissima “opinione pubblica” – noi stessi – e chiediamoci: da quando in qua i governi occidentali vanno a lavare i panni sporchi degli altri? Le elezioni-farsa russe sono forse state un problema? Solo per fare un eclatante esempio recente. Non mi risulta che ci sia petrolio in Myanmar, eppure c’è tantissimo riso. Ma, nonostante questo, non posso credere che l’Asse del Bene abbia creato il ciclone Nargis per poter razziare il riso birmano. Sarebbe plausibile, benché difficile da credere, ma non sono così complottista.

Forse qualcuno me lo può spiegare meglio, ma perché mai una banda di criminali al governo non dovrebbe accettare un massiccio sistema di aiuti, ben strutturato e funzionale, che arriva, risolve – o attenua – la crisi, cura i feriti, sfama gli affamati, alloggia gli homeless, riversa milioni di dollari che altro non sono che briciole o sms occidentali, e poi se ne va?

Forse perché poi non se ne va.

Mis-à-part la dibattutissima questione della reale natura della beneficenza – quanti centesimi su un euro donato arrivano a destinazione, se arrivano, etc. – bisognerebbe forse imparare qualcosa dal recente passato. “Dal letame nascono i fiori”, cantava De Andrè, e lo sanno molto bene le multinazionali del turismo, e gli squali globali, predicatori del neoliberismo “puro”. Liberare i mercati è l’obbiettivo numero uno. Chiedetelo alle decine di migliaia di senzatetto che ancora popolano lo Sri Lanka, mentre dove c’erano le loro capanne ora splendono magnifici hotel con piscina.

Non credo che la giunta militare birmana stia facendo gli interessi della sua popolazione. Se così fosse, la avrebbe innanzitutto avvertita della calamità in arrivo, cosa che ha accuratamente evitato di fare. Credo che abbia semplicemente intenzione di continuare a fare i suoi sporchi affari, senza dover dividere la torta con gli squali bianchi. E, tra parentesi, nella maggior parte dei casi “dividere la torta” vuol dire farsi corrompere o poco più, mentre la torta birmana è ancora tutta loro.

Credo piuttosto che questo silenzio sul perchè la giunta non permette l’ingresso agli aiuti sia imbarazzante. C’è qualcuno che crede davvero che le ragioni siano di natura politica?

"In Iraq, Sri Lanka and New Orleans, the process deceptively called "reconstruction" began with finishing the job of the original disaster by erasing what was left of the public sphere.
When I began this research into the intersection between super-profits and mega-disasters, I thought I was witnessing a fundamental change in the way the drive to "liberate" markets was advancing around the world." (Naomi Klein)

Presto Nargis sarà solo un triste ricordo, filmati d’archivio su youtube. Ma avremo i low cost per il Myanmar, oops, la Birmania.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao Carlo, evito le solite domande di rito e vengo al dunque.
Non ho mai commentato sul tuo blog fino ad oggi, quando mi sono fermato a curiosare tra i posts.
Ora, premetto che io sono un giurista che ha votato il centrodestra e sono un Finiano convinto (questo lo dico perchè trovo corretto presentarmi a tutti coloro che vorranno rispondere al mio commento), vengo a rivolgerti questa domanda.

Nel tuo articolo sulla Birmania, hai giustamente avanzato il sospetto che dietro gli aiuti aumanitari che tardano a giungere alle vittime della catastrofe, si nascondano interessi economici potenzialmente in netta antitesi con lo spirito umanitario del soccorso.
Il mio appunto non si attesta sulla tua interpretazione giustamente personale dei fatti che accadono, ma sulle modalità espositive. Ti riconosco il fatto di aver ricordato le brutalità del regime Birmano, ma non posso fare a meno di esprimerti, mentre leggo il tuo articolo, il disaccordo che sento nel percepire il serpeggiare di un pensiero e di un'immagine che la tua capacità espositiva è in grado di evocare in me.
Questa è infatti la mia domanda: "L'accostamento tra le scelte politiche del regime militare al governo del piccolo stato (brevemente contestate nel tuo testo) e le modalità operative aggressive delle multinazionali economiche (lungamente contestate nel tuo articolo) non potrebbero suggerire - al lettore disattento - l'erroneo messaggio che in fondo, la scelta di non accettare gli aiuti Americani sia in un certo modo giustificabile in ragione della (anzi direi meglio "per colpa della") politica ultraliberista americana? In altre parole non credi che l'accostamento crei un parallelismo pericoloso tra scelte politiche che impongono ad una popolazione ignorante (nel senso "lasciata nell'ignoranza") una morte lenta per stenti e malattie e scelte economiche altrettando pericolose, ma efficaci solo nel medio/lungo periodo? Per concludere , ed in particolare con riferimento alla parte sugli effetti dello Tsunami in Thailandia e Sri Lanka, non ritieni che utilizzando questa forma passi il messaggio che "in fondo per difendersi dagli effetti della penetrazione economica americana sarebbe stato meglio non ricevere affatto gli aiuti?" Ed in tal senso credi veramente che questo messaggio sia corretto?

Ovvio, la mia è una provocazione (spero tu non te la prenda!) che ti presento proprio in ragione della tua abilità e della tua eleganza nello scrivere.
Un saluto.
Alby